lunedì 16 aprile 2012

Vogliamo i nomi

Quando lo scorso sabato mattina mi sono alzato, avevo già deciso di farmi del male. La pioggia c'era, la donna mio ostaggio per il finesettimana pure, la pizza al taglio mi aspettava al solito posto, tutto il mondo cospirava, insomma, per farmi andare al cinema a vedere un film deprimente.
Così ci sono andato.

Se vi eravate dimenticati del perché la polizia vi sta sul culo... (ndr.)

Era il lontano luglio 2001. Sono passati quasi 11 anni ormai. Il mondo era... vabbé faceva schifo come oggi, solo che mi sembrava meglio, che avevo 14 anni e il mio problema più grosso era finire il libro di esercizi di aritmetica per le vacanze. Le Torri Gemelle erano ancora in piedi,
nessuno sapeva un cazzo di chi fosse Bin Laden e l'Iraq e l'Afghanistan erano ancora dittature pacifiche, invece di democrazie guerresche. Noialtri andavamo a scuola, avevamo visto le prime assemblee alle superiori e parlavamo della Nestlé che affamava il sudamerica con il latte avariato, dell'ingiusta distribuzione delle ricchezze nel mondo e della Monsanto che vessava i contadini dell'indocina con semi di soja transgenici.
Da allora il mondo è cambiato. La Nestlé infatti... vabbé, però la Monsanto... ok niente, comunque... ok andiamo avanti.
Al tempo (non so se vi ricordate) Internet non esisteva. O meglio c'era, ma il 98% della popolazione andava col 56k e toccava disabilitare le immagini per far caricare le pagine. Il Supernintendo era la figata ultimo grido e Holly e Benji ancora non avevano vinto i mondiali.
In quel mondo lontano 11 anni, cresceva il movimento no-global che protestava per tutte le cose sopra, più le solite altre cose per cui protestano i giovani, gli studenti, gli operai e, in breve, tutte quelle categorie che possono vantare una forza contrattuale pari a quella di un vaso di gerani sotto al sole di luglio.
Il paragone è esatto, che era davvero luglio, quando i grandi della Terra giunsero a Genova per riunirsi in assemblea e il popolo no-global scese in piazza per protestare. 
Quindi successe quello che è sempre successo in qualsiasi manifestazione di popolo priva di un servizio d'ordine degno di questo nome. Qualche centinaio di tizi si mise a tirare molotov e a spaccare vetrine. La polizia gridò "evviva!" e iniziò a caricare a ufo tutto quello che vedeva tranne ovviamente quelli con le molotov, che mica vuoi prenderli davvero no? Questo solo il primo giorno.
Il giorno dopo, il 20 luglio 2001, muore un ragazzo durante gli scontri tra polizia e manifestanti. No scusate. Vedete che ci casco pure io? Non "muore". Viene ucciso.
Sì, così è meglio.
Su questa storia ci sono state una serie di ricostruzioni più o meno credibili, più i tradizionali tentativi di depistaggio delle nostre forze dell'ordine. In ogni caso Carlo Giuliani resta un morto nostro. Di quelli della mia generazione. Così come Pinelli lo è stato per quella dei nostri genitori.
Il film però non parla di questo. Narra infatti gli eventi del giorno seguente, l'ultimo del G8 di Genova. La notte del 21 luglio 2001, un centinaio di agenti fecero irruzione nella scuola Armando Diaz e nel vicino istituto Pascoli del quartiere Albaro di Genova. Con la scusa di effettuare una perquisizione, un centinaio di adulti armati di scudi, corazze e manganelli, sfogarono la rabbia accumulata in tre giorni di G8 su 93 ragazzini inermi, mandandone una gran parte all'ospedale con lesioni gravi o gravissime e arrestando i rimanenti, per poi torturarli psicologicamente e fisicamente nella caserma Bolzaneto.
Qui però non parliamo della scuola Diaz. Parliamo del film. Cosa possiamo dire su questa ricostruzione?

Lati positivi: il regista sa il fatto suo e si vede. Dopo una breve introduzione, va dritto al sodo, dedicando almeno un'ora di film a illustrare con cura le percosse e i traumi subiti dalle vittime. Di questi 60 minuti, 10 sono più che sufficienti a far piangere Quentin Tarantino dall'invidia e noi per la consapevolezza che non è Bastardi senza gloria: è tutto vero.

Lati negativi: i nomi. Francamente, ci siamo rotti le palle delle ricostruzioni accurate delle cose ma non delle persone. Vengono chiamate con il loro nome 2 delle vittime, ma dove sono i colpevoli? Chi sono i colpevoli? Boh. Niente. Non viene nominato un solo membro delle forze dell'ordine, né fra gli esecutori, né fra gli organizzatori. Non viene nominato il capo della polizia, né il ministro dell'Interno, né un certo vice-presidente del Consiglio che girava da quelle parti. E allora i casi sono due:
1) "Ho voluto concentrare l'attenzione sulle violenze degli agenti, prima che sulle persone singole. Mi interessava dare l'idea che c'è qualcosa di sbagliato nell'organizzazione delle forze dell'ordine"
Beh, caro regista, grazie del pensiero, ma non ce ne fregava un cazzo. Sai perché? Perché già lo sapevamo. Come diceva un tizio che conoscevo "dire che la polizia picchia, è come dire che l'acqua bagna". Hai scoperto l'acqua calda.
2) "Questo è solo una fiction, non vuole essere un documentario storico"
Beh, caro regista, allora potevi girare Elisa di Rivaombrosa parte XX. Ci sono un sacco di signore anziane orfane di Fede da consolare.

Detto questo, vi consiglio di andarlo a vedere. Ogni tanto ricordare un po' fa bene.

7 commenti:

  1. bella la recensione e più in generale interessante il post, tuttavia non concordo su un punto! hai accostato Pinelli a Giuliani quando a mio parere son due casi assai diversi.

    Secondo me il caso Pinelli è più vicino alla "recente" morte di Stefano Cucchi: entrambi deceduti mentre erano affidati alle cure delle forze dell'ordine(caserma/carcere). Carlo Giuliani invece è morto mentre si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato mentre assaltava la diligenz...ahem jeep dei carabinieri. In questo caso(seppur sia tremendamente brutto e cinico da dirsi) il giovanotto se l'è un po' cercata.

    Forse era meglio se anche lui invece di darsi all'estintore avesse imbracciato la cinepresa per girare Elisa di Rivaombrosa (parte 0 - The Beginning)

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  2. In realtà il mio era un discorso che si fermava prima dei fatti. Per "nostro" intendo "uno della nostra generazione". Sono sicuro che quando fra mooooooooolto tempo parlerò a mio figlio dei primi anni del '2000 e gli citerò Carlo Giuliani, lui mi guarderà con la tipica espressione: "e questo chicazzè?". Un po' come me quando mio padre canticchiava "quella sera a Milano era caldo ecc. ecc."
    Sul cercasela sono parzialmente d'accordo. Nel senso che ovviamente se se ne fosse andato a casa non sarebbe successo niente. Però è anche vero che se la gente andasse sempre a casa alla prima jeep della polizia che irrompe nei cortei si andrebbe poco lontano.
    Certo l'estintore era meglio se lo lasciava a terra, però.

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  3. Si potrebbe intavolare una lunga e interessante discussione su questo tema, si potrebbe far notare che non ci dovrebbe nemmeno esser bisogno di impiegare delle jeep nei cortei... si potrebbe anche dire che se proprio devi mandarci qualcosa(in un corteo) ci si dovrebbe spedire un mezzo blindato ad hoc e non un cavolo di Defender coi finestrini talmente grossi da farci passare, chessò, un estintore!

    Ma per il momento ci limiteremo a dire che è bene ravvivare il ricordo di certe cose, che poi le arrivi a raccontare ai pargoli e quelli ti guardano come se tu stessi cantando "quella sera a Milano era caldo..."

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  4. Sinceramente vorrei dissentire sul "lato negativo" del non riferimento esplicito alle persone. Lasciando stare la differenziazione rispetto ad un altro film uscito di questi tempi (Romanzo di una strage) che a furia di fare nomi e lanciare ipotesi lambisce i confini del depistaggio fuori tempo massimo, la scelta del "non fare nomi" risulta essere la migliore applicabile a quello che, per quanto militante e di denuncia, tratto da storia vera, rimane un film.

    Nonostante questa assenza il film MOSTRA (non fa intuire) senza mezzi termini come funzionasse la catena di comando della repressione del Global Forum, e pur limitandosi verso l'alto a "mostrare" direttamente il livello della questura e dei magistrati, si capisce che il massacro è premeditato e cercato, e non per un gusto sadico dei poliziotti quanto ordini espliciti dall'alto.

    In secondo luogo, si possono dare al massimo dei "nomi" di circostanza (Fini, Berlusconi etc.) appartenenti al governo dell'epoca, tuttavia bisogna notare che dopo poche settimane dalla formazione di un nuovo governo è davvero difficile montare un'operazione così capillare ed efficace (a suo modo). Se volessimo fare dei "nomi" con un senso, dovremmo allargare la rosa a chi quei reparti li ha addestrati mesi addietro, ovvero gente appartenente al governo di centro-sinistra (su tutti Amato, D'Alema, Fassino etc.) che pur stando ad un alto livello e di chiare amicizie europeiste, non sono certo i "mandanti" originali.

    Il film quindi, anche senza far capire chi ha mandato davvero quei poliziotti a distruggere psicologicamente il movimento del biennio 1999-2001 in una battaglia campale (e questo su può capire con un po' di "studio" su fatti e persone), mostra con efficacia che alla Diaz non fu un "errore", non furono "mele marce" o reparti impazziti alla ricerca di terroristi, ma una vera e propria intimidazione il cui eco è forte ancora adesso (persino per il 14enne alla prima manifestazione, che non conosce quasi nulla dei dettagli di quella notte).

    Rispettoso, Matz

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  5. Ciao Matz.
    Il punto è proprio questo. Il film non si basa su ricostruzioni fantasiose o su ipotesi. Bensì su fatti accertati da due sentenze (primo grado e appello), che non solo descrivono il "come" questa repressione è stata organizzata, ma specificano anche il "chi".
    I nomi che volevo sentire sono questi: http://www.repubblica.it/cronaca/2010/05/18/news/diaz-sentenza-4166704/
    Non era difficile, bastava citarli.

    Per quanto riguarda i politici... assolutamente non sono nomi di circostanza. L'allora ministro degli Interni (Castelli) visitò la caserma di Bolzaneto nelle stesse ore in cui si svolsero le sevizie e le torture. Fini ebbe diversi colloqui con i vertici della polizia. Non si tratta semplicemente dei tizi sotto i quali si sono svolte le proteste di Genova, ma dei responsabili politici che parteciparono ai vari aspetti organizzativi del sistema di pubblica sicurezza.
    Non dico che il regista avrebbe dovuto farli vedere con un manganello in mano, ma quanto meno citarne i nomi o far vedere che c'era pure qualcuno del governo sul posto sì.

    Con questo non voglio sminuire il valore del film. Per quanto mi riguarda è un bel film. Però la mancanza di coraggio nel trattare certi argomenti è evidente.
    Probabilmente con troppi nomi manco sarebbe uscito nelle sale italiane e capisco che il produttore (a cui giustamente importa soprattutto che il film incassi al botteghino) abbia invitato alla moderazione. Questo però non significa che non sia una scelta criticabile.

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  6. A mio parere, più che dalla mancanza di coraggio, la scelta di non fare nomi è stata presa in seguito ad una volontaria semplificazione narrativa. Una lista di nomi, anche a fine film, avrebbe "appesantito" la narrazione e la portata, l'avrebbe confinato ad un film contro "X, Y e Z". In "Diaz" non viene detto esplicitamente che la colpa era di De Gennaro, o di Castelli, o dei magistrati: mostra senza mezzi termini l'apparato repressivo, cieco e sanguinario come uno slasher movie (dove l'orrore del mostro è sostituito all'inquietudine del reale: quelli sono poliziotti che fanno il loro compito, non demoni o zombie). Una lista di "colpevoli" poi, per quanto possa essere un buon intento, sarebbe stata pachidermica, oltre che rischiosa. Non dovrebbe appartenere al film (a qualsiasi film), ma a uno studio attento, a un libro, un'inchiesta. Al massimo un documentario, cosa che "Diaz" non è.

    Questo perché ripeto, si sarebbero dovuti mostrare, per rispetto della mente critica dello spettatore, ore e ore di narrazioni di responsabilità oggettive a vari livelli, dal poliziotto sadico e disumano al freddo tecnocrate organizzatore del G8, passando per politici, questori, magistrati e compagnia.

    Per me "Diaz" ha una portata sociale enorme, ed è un ottimo mezzo per spingere la gente a informarsi sul perché e il per come di quello che sembrò un massacro insensato. Ma è meglio farlo appunto dopo la visione, documentandosi singolarmente attraverso atti di processi e storiografie varie.

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  7. Matz, sono sei persone. Sei. In un film di 2 ore ce la fai abbondantemente a infilare in un dialogo i nomi di 6 persone. Per non parlare del giornalista picchiato. Il signore anziano nella seguenza finale dice che appartiene a una fantomatica voce di Bologna. Era tanto difficile usare il nome vero? "Resto del Carlino". Se lo dici occupa lo stesso tempo di Voce di Bologna e ha la differenza di essere vero.

    C'è differenza tra un film e un documentario, però c'è anche differenza tra un film e una fiction e il fatto che siano state chiamate per nome le vittime ma non i carnefici (e nemmeno un giornale) mi sa molto di persone che si cagano addosso per la paura di essere denunciati, piuttosto che di fini artisti alla ricerca di una trama lontana dalle polemiche.

    Poi vabbé sono opinioni. Non metto in dubbio che il film sia a suo modo utile, ma secondo me (e secondo l'associazione delle famiglie delle vittime) poteva usare di più.

    Sarà che mi sono rotto di vedere sempre le mezze misure^^

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