sabato 31 luglio 2021

Fotografie - pensieri su film estivi

Non sono esattamente recensioni. Si tratta giusto di un paio di riflessioni sciolte che per caso possono avere un filo in comune. In altre parole: le butto lì. Non prendetemi troppo sul serio.

a Van zato
a Van zato

TramaNomadland è la storia di una cinquantenne americana che rimasta vedova e priva di radici in seguito al fallimento dell'azienda per cui lavorava (che ha anche ridotto a città fantasma la cittadina in cui abitava), decide di attrezzare un furgone come casa su ruote e vivere da nomade negli spazi immensi dell'America profonda.

Giudizio: 8, a livello di regia e fotografia è assolutamente stupendo, con questi campi lunghissimi nei paesaggi sconfinati degli USA, fra i ghiacci e i deserti assolati. Tutto molto bello. Si capisce perché gli hanno dato il leone d'oro, approvo. Ottimo lavoro Chloe Zhao.

Epperò: dopo la visione mi sono ritrovato abbastanza in disaccordo col 90% di quello che ho letto al riguardo e siccome sono un cacacazzo, mi sento di dire la mia. Mi riferisco a tutti quelli che si sono buttati sul veterocomunismo de: "Si tratta di una critica profonda dell'America contemporanea e del suo stile di vita capitalista che spinge ai margini le persone".
Ni? Nel senso, sì, il sistema americano non ne esce benissimo. Nessuno può uscire benissimo in un contesto in cui il fallimento di una singola azienda distrugge un'intera città, gente colpita dalla crisi economica si ritrova priva di ogni sostegno o si vede cancellare anni di risparmi. Per non parlare di un sistema che privatizza il sistema pensionistico affidando al destino di un'azienda la decisione se una persona avrà una vecchiaia autosufficiente o vivrà in regime di povertà. Tutto molto brutto. Il problema è che il film non mi ha trasmesso affatto quella sensazione di "denuncia sociale" che secondo tanti osservatori ne dovrebbe essere il centro.
In primo luogo perché alla gente che appare nel film di denunciare i mali della società frega abbastanza poco. Sì, hanno tutti storie tristissime, ma allo stesso tempo conducono uno stile di vita che di "rivendicativo" nei confronti del mondo che li circonda ha pochissimo. Abbiamo:
- la tizia malata di tumore che ha scoperto di avere poco da vivere ed ha quindi venduto tutto per mettersi su ruote e andare a morire nel suo posto preferito in (credo?) Alaska;
- quella che ha perso tutto durante la crisi economica del 2008 e si arrabatta come può (l'unica vera vittima imho);
- il ragazzo scappato di casa perché non vuole rinchiudersi nella provincia;
- lo scavezzacollo ormai anziano che decide di lasciar perdere la vita raminga e trasferirsi a casa del figlio a fare il nonno a tempo pieno.
Infine la nostra protagonista, che solo apparentemente è una vittima della società capitalista. Nel senso, in parte lo è, ma nel corso del film scopriamo che di modi per uscire da quella vita di precarietà ne avrebbe diversi. Fino ad arrivare al punto in cui il furgone si guasta in modo irreparabile e fa quello che ogni persona in difficoltà farebbe: "chiama casa". E scopriamo che ha una sorella che vive agiatamente e non ha nessuna difficoltà a "prestargli" qualche migliaio di dollari per permetterle di rimettersi in viaggio.

Insomma, più che una denuncia dei mali americani, a me è sembrata una fotografia di uno specifico spaccato sociale. Che non vive in opposizione alla società capitalistica, ma all'interno dei suoi gangli, in modo quasi parassitario.

Spoiler: non ammazza nessuno

Non avevo voglia di vedere sto film, ma i miei pregiudizi sono stati smentiti perché era veramente carino.

TramaUna donna promettente è la storia di Cassie, ex studentessa in medicina che ne ha viste di cotte e di crude all'università, ne è uscita con un'amica che poi si è suicidata e adesso lavora in una caffetteria di giorno, mentre di notte vaga per discoteche fingendosi ubriaca persa facendo poi rimanere malissimo gli uomini che tentano di approfittarsi di lei.
E quando dico: "rimanere malissimo" intendo proprio questo. Nel trailer hanno cercato di ammiccarvi il più possibile ma non è una serial killer. Non ammazza nessuno. Semplicemente mette gli uomini che tentano di scoparsela mentre è semi-incosciente di fronte alla realtà di essere delle teste di cazzo abissali nonché degli stupratori. That's all. In tutto questo, la ricomparsa di un ex collega di corso riporterà alla luce vecchie ferite: il suicido di Nina, la migliore amica di Cassie, dopo uno stupro di gruppo mentre era ubriaca, e la spingerà sulla via della vendetta.

Giudizio: 7,5. Non dico di non apprezzare regia e sceneggiatura. Il film ha un tono volutamente sopra le righe e il fatto che per me personalmente fosse "un po' troppo", non significa che non avesse un senso. Carey Mulligan chiaramente in stato di grazia fa il resto.

Epperò: in realtà all'epperò arrivo dopo, ma mi piaceva mantenere la simmetria. E mantengo la simmetria pure nel parlare di fotografia. Qualcuno lo ha paragonato a Sotto accusa, però non siamo esattamente in quelle corde. C'è senz'altro la denuncia dello cultura dello stupro, che ci sta tutta, per il resto però si tratta di un film abbastanza complesso.
Prendiamo un attimo in esame gli eventi. Cassie mette in atto una serie di vendette con uno schema che richiama evidentemente Kill Bill (pure i numeri romani). Sono tutte vendette abbastanza esagerate, salvate dal fatto che il coltello non viene mai spinto a fondo quanto sarebbe possibile.

1) Madison, l'altra amica di Nina e Cassie, non aveva creduto (o non aveva voluto credere) allo stupro perché Nina "si ubriacava sempre e andava con tutti". Cassie la fa ubriacare e la lascia in balia di uno sconosciuto in un hotel. Madison va ovviamente nel panico la mattina dopo, pensando di essere stata stuprata. Il punto è che non è vero. L'uomo era un complice di Cassie che aveva il solo scopo di portarla in una camera, spogliarla e lasciarla dormire. Madison se la cava solo con una gran paura e noi spettatori siamo soddisfatti perché ha avuto quello che si meritava "questa stronza".
Ma ne siamo veramente sicuri? Perché se invece non fosse uno scherzone e lo stupro ci fosse stato veramente, forse non saremmo altrettanto soddisfatti. Perché diciamocelo, sicuri sicuri che Madison sia così colpevole da meritarsi lo spaventone di cui sopra? Aveva il dovere di credere a Nina a prescindere? Eh. Magari sì. Ma essere un po' stronzi merita una vendetta di quasi stupro dieci anni dopo? Minchia, meno male che non stiamo parlando di prescrizione e improcedibilità eh?

2) La rettrice. Pure qui, la figlia viene praticamente rapita. Le viene detto che è stata lasciata con degli stupratori. Non è vero ovviamente, perché Cassie è buona, e noi ci consoliamo dicendoci che "beh, un po' di paura se la meritava". Ma se la meritava? Secondo Cassie sì. E Cassie giudica malissimo la frase "dobbiamo presumere l'innocenza in assenza di prove". Alla vittima, per Cassie, va creduto a prescindere.
Eh. Siamo sicuri sicuri di essere d'accordo?

E soprattutto, ma siamo sicuri che Cassie sia d'accordo? Perché nel momento in cui crede per un attimo di essere disposta a lasciarsi tutto alle spalle, in realtà ci sta malissimo per Madison. Si rende conto di essere diventata carnefice in un gioco di bullismo molto simile a quello per cui cercava di punirla.

3) La punizione finale all'addio al celibato. Il responsabile dello stupro di Nina viene catturato, ammanettato e Cassie si prepara ad incidergli sopra il nome della sua migliore amica, per marchiarlo e renderlo riconoscibile per sempre. Il tizio si salva liberandosi in qualche modo e soffocandola.
Eeeee... ma siamo sicuri che sia lui ad essersi salvato? La mia impressione è che la regista abbia in realtà usato questo espediente (particolarmente debole fra l'altro) per salvare Cassie. Perché se ce l'avesse fatta a incidergli quel nome sulla pelle, sarebbe ufficialmente passata dal lato della barricata degli aggressori. Invece così gli spettatori se la possono ricordare come vittima di una situazione in cui in realtà non ha fatto male a nessuno riuscendo poi a punire i colpevoli in modo indiretto (alla fine del film). Un po' lo stesso meccanismo dei film in cui il cattivo si ammazza da solo in modo ridicolo, in modo che il buono non debba averne la morte sulla coscienza, ma al contrario.

Non so. Da una parte la denuncia della società attuale e anche del dibattito in atto nel mondo occidentale sui temi di cui sopra viene presentata in modo eccellente. Dall'altra, mi sembra sia mancato il coraggio di dare l'affondo finale e decidere interamente da quale parte stare. Perché Cassie non è Joker. Si spinge avanti solo quel tanto che basta per prendersi gli applausi dovuti a chi effettivamente sta esprimendo un disagio, ma mai abbastanza da ricevere i biasimi che magari alcune situazioni richiederebbero. È un po' come se Batman, per vendicare la morte dei suoi genitori, continuasse sì a inseguire i criminali per consegnarli alla giustizia ma senza mai picchiarli. Senza violenza, trattando tutti con i guanti di velluto. Giusto quel tanto che basta: mai vera violenza.

Ecco, diciamo che da questo punto di vista, il film è un tantino paraculo. Giusto un po'.