mercoledì 11 aprile 2012

Salveremo Kennedy? ... 22/11/63

Innanzitutto un discorso serio. Fra quelli della mia generazione, Stephen King è un po' il Vasco Rossi della letteratura. In altre parole esiste un movimento di lettori (che ormai è un po' mainstream - cit. necessaria) che lo considera di bassa qualità perché:
a) vende troppo;
b) piace anche a quelli che leggono Twilight quindi fa schifo.
Il punto b) evito di prenderlo in considerazione. Il punto a) necessita invece di una riflessione più ampia. Ci sono infatti delle persone che hanno molti problemi con quella che viene comunemente definita "letteratura da intrattenimento". Giudicano cioè poco significativi i libri che presentano l'unico scopo di farti passare qualche ora rilassante (specie su un divano morbido in una domenica pomeriggio piovosa con il sottofondo di un film di Italia 1) ritenendo invece doveroso che la lettura sia in qualche modo edificante e formativa.
A tutti costoro mi sento di dire in modo forte e chiaro: che palle.
Perché il punto è proprio quello. King è l'equivalente letterario di Mission Impossible 1-2-3-4. Non è che l'autore non affronti tematiche anche interessanti (l'orrore che si nasconde nella routine delle piccole città; un certo rimpianto per l'epoca d'oro degli Usa; l'amore per la letteratura e l'insegnamento - se proprio vogliamo elencarne qualcuna) ma è un po' come ritenere che Tom Cruise si butti dai grattacieli e arrivi a un soffio dal farsi tagliare la gola da una pala da elicottero per denunciare la scarsa trasparenza delle relazioni politiche internazionali.
I libri di King hanno da sempre due obiettivi principali: divertire il pubblico (spaventandolo o meno a seconda dei casi) e far fare al loro autore un casino di soldi.
Non vi piace perché commerciale? Beh, sappiate che state implicitamente disprezzando anche Dumas e Dickens. Pensateci.
Veniamo adesso ad affrontare l'ultima fatica (vabbé ne sforna uno al mese) del nostro: 22/11/'63 che poi si scriverebbe 11/22/'63 che gli americani devono fare i fighi e mettere le date come pare a loro.

Bello, ma non ha senso (ndr.)

La trama: Jake Epping è un giovane insegnante di liceo di uno stato americano a caso (il Maine). Ama i romanzi di Salinger e in particolare Il giovane Holden - cosa che a mio modesto parere dovrebbe bastare per allontanarlo dall'insegnamento (anche se tanto sono in America, grossi danni non li può fare) - e la dieta molto calorica e a basso prezzo. Per quest'ultimo motivo frequenta la "casa della costoletta di Al" (il nome potrebbe non essere esatto ma il senso è quello), che fa prezzi tanto bassi da essere tacciato di mettere negli hamburger carne di gatto al posto di quella di manzo.
La realtà è più semplice: ha in cantina un comodo portale temporale che porta nel 1958, quando la carne costava meno e i treni arrivavano in orario.
Malato di tumore e vicino alla morte, Al si trova nell'impossibilità di realizzare il suo grande sogno: fermare Lee Oswald, che uccise J. F. Kennedy il 22 novembre 1963, e cambiare la storia. Lascia così al suo amico insegnante, da poco divorziato, la sua missione. Ci riuscirà?
Chi volesse leggere il libro gli dico subito che è carino e che ne vale la pena. Quindi smetta di leggere tipo adesso. A chi non interessa continui pure a leggere, che da ora in poi spoilererò assai.

Liberiamoci innanzitutto del problema più sgradevole ed evidente:
La storia non ha nessun senso

Tutto il libro si basa su due premesse:
1) l'effetto farfalla: anche un cambiamento minimo può sconvolgere il mondo;
2) la storia non vuole essere cambiata.
Il punto primo viene contraddetto fin da subito. Il nostro amico ristoratore serve da tipo decenni la carne comprata da un macellaio di cinquant'anni prima. E il bello è che... è sempre la stessa. Per far funzionare il racconto, King è costretto infatti a introdurre la variabile che a ogni viaggio nel tempo tutta la situazione si resetta e qualunque cambiamento introdotto nella realtà venga annullato. Ne consegue che un tizio di nome Al compra la carne da un tizio nel '58, la porta avanti nel tempo, e la rivende. Poi torna nel '58, ricompra la stessa carne, la rivende nel ... ecc.
Per ovviare a questi casini, esiste una casta di controllori con il compito di tenere sotto controllo le anomalie. Tanto che quando Jake riesce a salvare Kennedy il cambiamento è tanto grande da distruggere tutto.
Ok, Stephen ma...
 - Se la conservazione della storia attuale è tanto importante, possibile che questi controllori non abbiano nemmeno un cazzo di fucile per sparare ai tizi che si fanno i peggio viaggi tipo vacanzieri italiani a Ibiza?
Secondo: Al evita che una tizia rimanga sulla sedia a rotelle. Giusto per vedere se la storia si modifica davvero. Tutto si modifica e il multiverso regge senza problemi. Però il protagonista, quando vede gli effetti disastrosi della salvezza di Kennedy, resetta tutto. Ma... si può sapere perché non torna semplicemente a vivere nel '58 con la donna che ama?  Cavolo è una tizia che vive nel Texas e che la cosa più importante che ha fatto è stata mettere su recite scolastiche. Mica è Giulio Cesare. Se poi vedeva che l'universo si avviava al collasso poteva resettare di nuovo e amen. Così com'è, il plot non ha senso e conferma soltanto che King è allergico alle storie d'amore con lieto fine.
Che poi parliamoci seriamente, chi cavolo rinuncerebbe a una donna per la possibilità, alquanto remota, che anni dopo la tua morte l'universo esploda?
Sapete cosa vi dico?
"se non siete disposti a far esplodere l'universo per amore, allora non avete mai amato"
Cit. Munin

Punto b). La storia non vuole essere cambiata. Questo fa sì che il protagonista si muova in uno scenario alla Final Destination. Malattie, alberi che cadono, incidenti stradali, bande di picchiatori, amnesie ecc. Il mondo intero congiura affinché il viaggiatore del tempo non riesca a introdurre un cambiamento. Più vasto è il cambiamento, più forte diventa l'opposizione.
In teoria. In pratica il mondo si oppone un po', ma alla fine lascia perdere e gli fa fare quello che gli pare. Esempio: per salvare la vita a tre persone di cui a nessuno frega niente, il protagonista di becca una dissenteria che nemmeno il colera. Quindi perché, quando tenta di salvare Kennedy, non gli parte un embolo e arrivederci?
Perché altrimenti la storia finirebbe subito. Però così la coerenza se ne va a farsi benedire. 
Detto questo, capirete quindi perché, quando ho finito il libro, la prima cosa a cui ho pensato è stata questa:


No, signor d'Orrico, mi permetto di dissentire. Col cavolo che questo è un romanzo di S.K. "come li faceva una volta". Vogliamo paragonare questa roba a qualcosa di allucinante come "La lunga marcia" o alla crudeltà di "Carrie"?
Anche no. Si tratta soltanto dell'ennesima storia ripescata dal cassetto, in cui un King più giovane e un tantino più geniale l'aveva abbandonata non ritenendola degna di attenzione, rielaborata ad altri fini.  Nessuna rinascita spirituale in vista e comunque, dopo che un tizio ti sforna una cinquantina di best-seller in una trentina d'anni, non è che puoi chiedergli di essere sempre brillante. Si tratta esattamente del mostro-lampada del filmato dei Griffin.
E sarebbe esattamente come tanta altra robaccia inguardabile che c'è in giro, tranne che è robaccia scritta da S.K. E questo fa sì che diventi robaccia leggibile con piacere.
Perché bastano 30 pagine. Dopo 30 pagine in cui il nostro autore arranca cercando di giustificare un evidente pretesto (un portale per il 1958 sotto una rosticceria? You're kidding me?), Stephen tira finalmente un sospiro di sollievo, ingrana la quinta e si immette sulla rassicurante autostrada della narrazione pura. Narrazione di cosa?
E' questo il punto. La cosa assolutamente incredibile di questo ultimo romanzo di K. è che tutto quello che non va, che stride, che probabilmente avrebbe anche potuto non esserci è specificamente riconducibile alle tematiche più "kingiane": horror e fiction, mentre tutto quello che funziona riguarda invece le parti che negli altri libri risultano secondarie: ambientazione storica, love interest, vita quotidiana. La verità è che stavolta avrebbe anche potuto scrivere semplicemente un libro sull'assassinio di Kennedy e sull'America anni '50 e sarebbe andato bene lo stesso. Però mi immagino il dilemma: "cosa faccio? Rischio e scrivo qualcosa di nuovo o faccio finta che quello di cui voglio parlare sia l'ennesimo plot riconducibile all'universo della Torre Nera & C. incassando sicuramente qualche altra milionata?"
Non sarebbe S.K. se non avesse scelto la seconda possibilità.

3 commenti:

  1. La mia esperienza King-iana è durata pochissimo: mi son letto tutta la saga della torre nera, poi fogatissimo sono passato ad un racconto a caso...BUICK 8 D:

    Ho smesso di leggere King per mantenere di lui un bel ricordo XD

    ps: la tua autocit la vedrei troppo bene dentro un bacio perugina.

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    1. Roland di Gilead ftw.
      Comunque secondo me la saga DT non è affatto il meglio che abbia scritto. In ordine:
      La lunga marcia
      Ossessione
      La tempesta del secolo (però deve piacere lo stile cinematografico)
      Le notti di Salem
      sono assolutamente da leggere. Ben più di quella marchetta osannata de Il miglio verde o di quella palla di It che è diventato famoso solo perché in genere i pagliacci stanno sul culo a tutti.

      Al di là di tutto ciò, se non lo hai mai letto ti segnalo la raccolta di racconti "A volte ritornano" e in particolare "Baubau". Se lo leggi e riesci a non guardare sotto al letto prima di andare a dormire guadagni 1000 punti stima^^

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  2. grazie per le segnalazioni, vedrò di includerli nella mia lista della spesa ^^

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