venerdì 2 marzo 2012

The Asimov's dark side

Che spesso si vive di pregiudizi è una verità riconosciuta. Pregiudizi come: "non andrò mai a mangiare il cinese! Non mi fido di quella roba che fanno!" Poi un giorno sei costretto ad andarci e scopri che i ravioli al vapore sono una delle cose più buone dell'universo conosciuto e che non smetteresti mai di mangiarli. Oppure come "non leggerò mai Jane Austen! Sono libri da donne" Poi un giorno prendi in mano Orgoglio e pregiudizio e ti riscopri a leggerlo fino a consumarne la copertina e a doverlo ricomprare.
Mi è successa (quasi) la stessa cosa con il libro che recensisco oggi:

Puoi anche essere figo, ma cameriere rimani (ndr)
Non so con precisione perché non avessi mai preso in considerazione il ciclo dei racconti dei vedovi neri di Asimov. Non posso dire che fosse sfiducia nei confronti di Asimov come giallista. I libri di Elijah Bailey, che ho letto con passione, ruotano tutti attorno a una indagine, però non sono ovviamente dei gialli canonici. Nel senso che l'aspetto fantascientico (o il love interest se prendiamo in considerazione The Naked Sun) rimaneva comunque predominante. La trama di questi racconti - mai fidarsi del retro dei libri, fra l'altro - presentava invece un impianto tradizionale: mistero/ricerca/soluzione. E io in genere odio i libri gialli, anche se forse questa definizione non è esatta.
Per essere più precisi odio i polizieschi e ogni altra storia gialla che si avvicina a quel genere. In particolare trovo assai fastidiose:
a) le scene del delitto, con l'eterna descrizione di particolari insignificanti e ripetitivi al solo scopo di nascondere l'indizio decisivo alla risoluzione del crimine. Lo faceva nonna Agata all'inizio del secolo scorso e continuano a farlo ai giorni nostri. La ... noia.
b) gli inseguimenti. Anche perché 9 volte su 10 la persona seguita non è colpevole, ma è introdotta dallo scrittore nel posto e nel momento sbagliato al solo scopo di depistare l'indagine.
c) le testimonianze shock e i lampi di genio che arrivano casualmente al momento giusto per la risoluzione dell'indagine;
d) l'approfondimento delle psicologie e dei fatti privati totalmente inutili ai fini della storia ma necessari ad allungare il brodo prima della fine.
Se ho molto apprezzato questi primi racconti dei vedovi neri è proprio perché tutti questi elementi non compaiono mai.
Trama: Asimov prende spunto da un club di New York realmente esistito, il Trap Doors Spiders (i Vedovi Neri, per l'appunto), per ambientare i suoi racconti gialli in un ristorante. I membri fissi del club sono sei: Geoffrey Avalon, Emmanuel Rubin, James Drake, Thomas Trumbull, Mario Gonzalo, Roger Halsted, diversi per carattere e attitudini. Ogni mese si riuniscono a cena nello stesso locale, serviti dall'ineffabile cameriere Henry Jackson, anch'esso considerato un membro ad honorem del club. A turno uno dei sei svolge il ruolo di anfitrione, con l'onere di pagare il conto e l'onore di guidare la seduta e scegliere l'ospite. Il settimo commensale, che varia di volta in volta, rappresenta l'elemento centrale della serata, essendo interessato direttamente o indirettamente al mistero del mese. In genere i Vedovi Neri si accapigliano sul caso, esaminandolo da ogni prospettiva e immaginando ogni possibile soluzione. A rivelarsi chiarificatore è però l'intervento finale di Henry, che giunge sempre per ultimo facendo notare un particolare decisivo ma talmente ovvio da risultare del tutto trascurato sia dai soci sia dal diretto interessato.  I casi proposti possono essere considerati come sciarade mentali, alla fine delle quali la sorpresa è il sentimento dominante.
In questo semplice meccanismo risiede gran parte del piacere della lettura.

La struttura del libro presenta però alcuni punti di minore efficacia.
Il primo, inevitabile, riguarda la mancanza di una trama orizzontale. I racconti sono stati concepiti essenzialmente come indipendenti e sono stati pubblicati su riviste diverse a distanza di anni l'uno dagli altri. Benché rivisti e rimaneggiati in vista di una pubblicazione collettiva, tale impostazione si sente.
In secondo luogo, la stessa semplicità a cui punta il finale, rappresenta un punto debole se il lettore riesce a cogliere l'elemento mancante della vicenda. A trame assolutamente impeccabili come Out of Sight (Nascosto alla vista) o The Obvious Factor (Il fattore ovvio), in cui il finale lascia veramente a bocca aperta, si contrappongono storie di minore impatto come Truth to Tell (A dire il vero) o Early Sunday Morning (Domenica mattina presto) in cui fin da subito si riesce ad intuire l'evoluzione della storia.
Terzo e ultimo fattore di debolezza, di cui però non si può incolpare l'autore, è il problema della traduzione. Alcuni racconti presentano giochi di parole non perfettamente riproducibili in italiano come Go, Little Book! (Vai librettino!), che tolgono parte del piacere alla lettura.
Il risultato è tuttavia più che gradevole.
Una piccola nota: c'è un particolare di questi racconti che non mi è piaciuto affatto e che lascia un gusto dolceamaro. Henry Jackson è indubbiamente il protagonista. Appare evidente come Asimov si diverta a raccogliere la crème de la crème degli intellettuali newyorkesi per far poi risolvere il mistero dall'apparentemente meno qualificato cameriere. Questa sensazione di incongruità tra il ruolo ricoperto e l'effettiva centralità nel racconto si presenta in praticamente tutti gli episodi. Gli ospiti chiedono invariabilmente spiegazioni sull'identità di Jackson e si stupiscono che venga considerato membro (anche se esterno) del club. Lo stesso Jackson si fa spesso carico di "scusarsi" dei suoi interventi e in qualche modo rivendica la sua estraneità di fondo alle attività del club. Tale tendenza raggiunge l'apice nell'ultimo racconto (Out of Sight ) in cui H.J. lancia un epitaffio ironico sulla categoria dei camerieri, ovvero che "il cameriere si nota solo se commette degli errori, mentre se è bravo risulta invisibile".
E questa qualità di invisibile permane nel procedere dei racconti. J. è fondamentalmente più sveglio degli altri membri del club e le sue qualità vengono riconosciute a più riprese. Tuttavia lui rimane comunque quello che serve la cena mentre gli altri mangiano e che porta via i bicchieri e sparecchia la tavola quando gli altri sono andati via.
E a questo punto tutto il rovesciamento di prospettive che Asimov prova a esprimere nell'affidare al cameriere il ruolo di solutore degli enigmi va a farsi benedire. Perché anche se lui è il più sveglio, continua comunque a spazzare la sala mentre quelli si mangiano gli arrosti.
Ovviamente tutto ciò è inevitabile. Jackson non potrà mai mettersi a tavola insieme agli altri (a meno che non avvenga negli altri racconti che non ho letto, ma ne dubito), altrimenti si perderebbe il senso dell'ambientazione e tutta la struttura narrativa svanirebbe. E forse a J. non andrebbe nemmeno. Magari vive benissimo con la moglie e i figli e la sera si fa quattro risate sorseggiando un succo di frutta mentre racconta alla bimba di come sono stupidi i tizi a cui serve da mangiare. Oppure è sinceramente affezionato ai membri del club e si diverte immensamente a fare solo "l'ospite esterno". Oppure non gliene frega niente di niente.
Però cavolo, che a nessuno venga in mente che forse un tipo del genere sia un tantino sprecato a servire ai tavoli fa un po' incazzare. E dategli un agente cazzo!

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