lunedì 24 settembre 2012

Sul perché non ho letto Multiversum

Nell'attesa di esaminare i due volumi gentilmente prestati dal tizio con l'armatura di pelle e la spada a due mani, vi propongo la recensione di un libro che non ho letto: Multiversum, di L. Patrignani.
Il sedicenne che non conobbe facebook (ndr.)
Ma come fai a recensire un libro se nemmeno lo hai letto?
Calma. Per "leggere un libro", io intendo finirlo. Ma 30 pagine sono state più che sufficienti per esprimere un giudizio: bocciato.
Perché?
Vediamolo.
Alex e Jenny si amano. Cioè no, non ancora. Probabilmente alla fine del romanzo. Però sappiamo già che andrà a finire così, quindi perché lasciarvi nel dubbio? Alex però vive a Milano, mentre Jenny in Australia. Bel problema anche se esistono gli aerei. Però Alex e Jenny vivono in universi paralleli e comunicano solo attraverso una connessione telepatica. E adesso come la mettiamo?
No problem, tanto il multiverso, ovvero la struttura che lega tutti gli universi esistenti, sta collassando per un qualche inpiegabile motivo e saranno i nostri due protagonisti a doverlo rimettere insieme. In questo modo potranno incontrarsi e vivere per sempre insieme felici e contenti, perché l'amore vince sempre sull'odio e... no quella era un'altra cosa.
Ricominciamo. Alex da quando era bambino soffre di quelli che sembrano attacchi epilettici. Durante questi attacchi entra in contatto con la mente di Jenny. A sedici anni riesce finalmente a scambiarci due parole e comincia a pensare che la misteriosa ragazza esista realmente e non sia un parto della sua fantasia o di una qualche malattia mentale.
Queste sono le prime 10 pagine.
A pagina 11 la storia si perde nel vuoto cosmico.
Alex decide che Jenny esiste perché le chiede il nome del sindaco di Sidney (o di Melbourne, non ricordo bene) e su internet verifica che sia la verità. Nell'incontro seguente, i due si danno appuntamento: a Melbourne. Per arrivarci, Alex contatta un suo amico hacker.
Non so se avete presente "Robin Hood in Internet". Era un film che passava ogni tanto su Italia 1 nelle mattinate/pomeriggi estivi per gli studenti che si godevano le vacanze scolastiche davanti al televisore. Nel film un adolescente usa internet per rubare i soldi di una ricca azienda e curare un ragazzo malato. Ecco, in Multiversum un ragazzo in sedia a rotelle usa internet per rubare i soldi a una serie di ricche aziende e aiutare l'amico capitano della squadra di basket.
Mutatis mutandis...
Il vero aspetto surreale della storia non è però legato alla telepatia o all'esistenza degli universi paralleli. Bensì al fatto che né al sedicenne capitano della squadra di basket, né alla ragazzina di Melbourne, né all'hacker che entra nei database delle multinazionali venga in mente che esistono le mail. Perché ovviamente è molto più facile farsi dire il nome del sindaco della città di vattelapesca, controllarlo su internet, fissare un appuntamento telepatico, rubare i soldi alle multinazionali e volare fino in Australia per verificare se la ragazza esiste sul serio, piuttosto che farsi dare il contatto di messenger e parlarci in chat.
Però magari un indirizzo e-mail è complicato da dare per via telepatica. Con quella chiocciola nel mezzo. Bel problema. Però sei un ragazzo di sedici anni che forse ti piace una ragazza di sedici anni e non sai come e quando potrai parlarci di nuovo. Io non so se le nuove generazioni abbiano parametri mentali totalmente diversi dai miei, ma ai miei tempi si chiedeva il numero di telefono.
E porca troia, se hai la memoria di Topo Gigio e non ti ricordi i numeri, chiedile il cognome e cercala su facebook. Oppure dille di cercarti su facebook.
Ma no. Il fatto che dal 1870 esistano altri mezzi di comunicazione, oltre ai piccioni viaggiatori e ai segnali di fumo, sembra una realtà totalmente sconosciuta ai nostri protagonisti. Anche all'amico che ruba i soldi alle multinazionali tramite internet. Probabilmente è perché ormai facebook è troppo mainstream.
Date queste premesse, per me Multiversum finisce qui. Sinceramente, mi spiace per Patrignani. La mia apertura mentale è massima. Posso accettare i personaggi dalla caratterizzazione improbabile (fra l'altro, grazie per l'indovino del primo scalo aereo: era dai tempi de "I piccoli brividi" che non vedevo niente di così stereotipato) e la scrittura scolastica. Posso sospendere la mia incredulità fino ad accettare praticamente qualsiasi cosa, dai multiversi ai draghi, dagli anelli che rendono invisibili alle spade che svelano la verità, dai viaggi spaziali istantanei agli armadi che fungono da porta per mondi abitati da satiri, ma con tutto l'impegno possibile non posso arrivare a credere nell'esistenza, nel mondo occidentale, di un sedicenne in possesso di adsl che non sappia pensare a un modo più semplice del "vado in aereo in Australia" per parlare con una ragazza.
Ovviamente il motivo è semplice. Se Alex cercasse Jenny non la troverebbe, perché nel suo universo è morta all'età di sei anni. Quindi si convincerebbe di essere pazzo, non andrebbe mai in Australia e il libro finirebbe prima di cominciare. Ma se sei costretto ad aprire un plot hole grande come una casa  a pagina 11, per non farti cadere la storia addosso, una cosa è certa: la trama fa acqua.
Il fantasy/fantascienza italiano fa ridere. Accettiamolo.

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