venerdì 4 settembre 2015

Leopardi e Recanati

Giusto due parole su una questione che mi suscita estrema ilarità. Complice la nuova moda di Leopardi, derivata da film come "Il giovane favoloso", sembra che Recanati stia vivendo un vero e proprio boom turistico (22.000 turisti in due mesi), tanto che il Sindaco è stato costretto a mettere una zona ztl in paese (wow, siamo entrati nel ventunesimo secolo, bravi) e promette grande sviluppo nell'industria dell'accoglienza. Il TG1 registra il fenomeno e si produce in un breve servizio che casualmente ho occasione di vedere due giorni fa. 

Lasciamo perdere la tizia iniziale. La tradizione impone che ogni servizio televisivo che faccia riferimento al mondo della cultura, si apra con una dichiarazione imbarazzante. "E sai, a me interessa tanto Leopardi perché da giovane era così cupo e triste"... è morto di malattia a 39 anni, porca troia, non è che abbia avuto tutto questo tempo per diventare un vecchietto arzillo.
Ma a parte questo, mi fa sbellicare l'idea che la gente accorra a visitare Recanati (non che ci sia qualcosa di brutto, a livello naturalistico è bellissima) per vedere i luoghi del poeta, dopo aver visto il film. Per la semplice ragione, che Leopardi odiava Recanati.
Seriamente, Leopardi odiava il suo paese, odiava la gente che ci viveva, odiava l'idea di abitarci. L'unica cosa che apprezzava veramente, di Recanati, era la biblioteca del padre che, paradossalmente, aggravava la situazione iniziale. In che senso? Mi spiego. Immaginatevi un tizio con una mente geniale. Non geniale come quella di vostro cugino che va tanto bene in matematica e la maestra gli da sempre 8 nei temi di italiano. No, geniale come un tizio che a quindici anni inizia a studiare greco, da autodidatta ovvero da solo, e a sedici sta già traducendo la Titanomachia di Esiodo. Per fare un parallelo in campo scientifico, è un po' come un tizio iniziasse a studiare oggi la geometria euclidea e lo ritrovaste fra un anno a speculare sulla curvatura dello spazio secondo la relatività di Einstein.
Ecco, ora prendete questo tizio, rendetelo gobbo e malaticcio e mettetelo a vivere in un posto dove la persona più erudita è un prete di campagna e in cui il livello medio di istruzione consiste in "so come preparare la biada per il cavallo". Tipo che il padre, nel 1812, decide di aprire la biblioteca privata alla cittadinanza facendo bella figura senza sforzo visto che resta permanentemente vuota perché nessuno sa leggere. Aggiungeteci che siete a inizio '800 in provincia di Macerata nelle Marche. In altre parole trasferirsi nella città più vicina, con una vita culturale degna di questo nome, è un atto paragonabile al volare in Australia ai giorni nostri. Aggiungeteci che ogni giorno siete trattato come un mostro strambo (lo chiamano "il gobbo di Montemorello") da gente che riesce a contare fino a venti solo perché va in giro scalza e può usare anche le dita dei piedi. I suoi coetanei lo accolgono con simpatici motteggi, tipo: «Gobbus esto fammi un canestro: fammelo cupo gobbo fottuto».
Voi come reagireste?
Lui reagiva così:

Nè mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di se, ma perchè tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol de' malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Le ricordanze, XXII 
Diciamo che vivere a Recanati gli stava leggermente sul culo? Personalmente sospetto un circolo vizioso continuo. Nel senso che gli piaceva leggere, la gente lo guardava come un essere innaturale, allora si rinchiudeva a leggere per evitare la gente, che lo vedeva sempre più colto e quindi lo rifiutava spingendolo ancora a leggere ecc. 
Fatto sta che gran parte dei suoi sforzi per farsi accettare nel mondo culturale dell'epoca erano rivolti a trovare abbastanza soldi per andarsene via di casa. Roma, Milano, Firenze, Napoli, tutta la vita di Leopardi è stata uno sforzo immane per stare ovunque, tranne che a Recanati. Ogni volta che ci tornava, si riferiva al paese come a una prigione e a casa sua come a una tomba. Per dire eh.

Ma la cosa che mi fa più sbellicare sono le gite turistiche alla siepe sull'ermo colle, in cui si decanta il panorama. Capisco che la parafrasi delle poesie sia una di quelle cose brutte brutte che insegnano a scuola e quindi non piaccia, mi permetterei però di attirare la vostra attenzione proprio sui primi versi:



Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
G. Leopardi, I canti, XII - L'infinito, vv. 1-3 
Il guardo è lo sguardo. Letteralmente, la siepe gli è cara perché gli impedisce la vista di gran parte del panorama. In altre parole, il panorama era l'ultima cosa che voleva vedere. Grazie all'impedimento della siepe poteva immaginarsi che ci fossero interminati spazi al di là da quella, e sovrumani silenzi e profondissima quiete. Quindi visitare un colle perché vi si vede un panorama che Leopardi era felice di non poter vedere così poteva far finta di essere altrove beh... non è esattamente la cosa più sensata del mondo.

NB. non vorrei che tutto questo passasse come una critica al turismo a Recanati. I posti sono bellissimi. Andateci.

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