lunedì 2 marzo 2015

Acciaio - e chissà come mai a Piombino si sono incazzati?

Da diversi anni non avevo letto un libro passato per il premio Strega. Cosa logica a ben pensarci, essendo appassionato soprattutto di fantasy e horror. Generi che, oltre a essere quasi sempre massacrati dagli scrittori italiani, vengono schifati dalla grande critica nostrana come robaccia di serie B.
I grandi premi letterari vengono assegnati, quando va bene, a lavori di denuncia tipo Gomorra e quando va male all'ennesima storia di famiglia disperata in cui minimo muoiono orrendamente 3/4 dei personaggi e che si trova in libreria con in allegato il cappio e/o la lametta per il taglio delle vene.

Ogni tanto qualcosa di leggibile c'è, non fraintendiamo. Semplicemente non è il mio genere. Stavolta ho però fatto uno strappo alla regola per Acciaio di Silvia Avallone. 

Se lo ambientava in una piantagione di cotone era lo stesso (ndr.)
Precisiamo: Acciaio non ha vinto il premio Strega, è arrivato secondo. Probabilmente è per questo che è passabile. Ha invece vinto il premio Campiello come opera prima.

Trama: la storia si svolge a Piombino, nel quartiere popolare "Stalingrado", ai margini del grande stabilimento metallurgico "Lucchini". Poiché si tratta di un romanzo che già si sapeva sarebbe finito allo Strega, le due protagoniste, Anna e Francesca, vengono accuratamente selezionate fra le tizie con le famiglie più sfigate dell'intera regione Toscana.
Francesca - ha un padre semianalfabeta, potenzialmente incestuoso, che la massacra di botte ogni volta che la vede andare in spiaggia in costume. Trovandosi a Piombino, di luglio, capite bene che la situazione è problematica. La mamma invece è una donna schiva, succube del marito. Per colpa delle violenze paterne sviluppa tendenze lesbiche (di questo ne parliamo dopo), in particolare verso l'amica Anna.
Anna - invece ha una madre amorevole, iscritta a Rifondazione Comunista e attiva politicamente. In compenso il padre si fa licenziare dall'azienda perché usa il suo posto di caporeparto per rubare carburante. Non contento, si ricicla come ricettatore, spacciatore di opere d'arte fasulle e tanti altri piccoli affari illegali. Il fratello, Alessio, viene presentato come un altro semianalfabeta che però si limita a farsi di cocaina, rubare il rame dalle linee telefoniche e picchiare chiunque lo guardi storto.
I comprimari sono altrettanti casi umani. Andiamo dal migliore amico di Alessio, Cristiano, che ha messo incinta una quindicenne e ha come massimo svago le serate al night in compagnia di prostitute altrettanto minorenni, alla compagna di scuola Lisa con la sorella malata di una malattia degenerativa, all'altro amico di Alessio, Mattia, nonché boyfriend di Anna, che a diciotto anni è scappato in nave in Russia dopo una rapina alle poste (sic.). Insomma, il più fortunato del quartiere c'ha la rogna.
In tutto questo, riusciranno le due ragazzine a diventare grandi? Vedremo...

Cosa ci è piaciuto -  la scrittura è ottima, questo ci sentiamo di dirlo. Ottime le descrizioni degli ambienti, ottima la narrazione degli eventi. Resa altrettanto bene è la psicologia dei personaggi. Il narratore onnisciente garantisce un'ottima resa dei processi mentali, che seguiamo dalla nascita alla morte. Descrizione dei personaggi che è psicologica ma anche fisica, con un'attenzione ai corpi che a volte rischia di sconfinare nel voyerismo ma che è comunque potente. Apprezzabile infine è l'atmosfera. L'intera storia è permeata di nostalgia, malinconia e decadenza. Che detta così sembra una cosa brutta ma che in realtà è uno dei punti forti del libro. Una malinconia legata alla crescita delle due ragazzine, con la perdita dell'innocenza e dell'integrità della fanciullezza ma che contiene i semi di una nuova vita. Francesca e Anna rappresentano i due aspetti di questo passaggio, con la prima che si aggrappa ai ricordi dell'infanzia e rifiuta di crescere e la seconda che invece soffre nel perdere il passato ma appare comunque proiettata al futuro.
I temi trattati sono serissimi. In particolare si tenta di raccontare quello che si percepisce come il declino dell'Italia (ma forse del mondo occidentale) dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda. La globalizzazione, la fine delle ideologie, la crisi morale, tutto visto attraverso gli occhi delle classi popolari. In teoria. Non che ci riesca benissimo ma l'intento è buono.
Acciaio è quindi anche un racconto di formazione, che fa tanto Dickens fuori tempo massimo ma in questo caso lo fa con grazia, e di denuncia sociale. Un po' ci riesce e un po' no, ma l'impianto è valido.

NB. la sezione "cosa non ci è piaciuto" contiene spoiler. Continuate a vostro rischio e pericolo.

Cosa non ci è piaciutoAcciaio soffre di alcuni gravi problemi che si riassumono in due tematiche principali: la mancata verosimiglianza e la ruffianeria. Il primo punto è quello più grave, perché la storia è ambientata a Piombino. Se scrivi per il mercato italiano e ambienti la storia in Italia, la verosimiglianza è fondamentale perché il lettore sa, in genere, di cosa stai parlando. Inoltre il libro è ambientato nel 2001, un tempo talmente vicino al presente, che i lettori ricordano senza problemi "come si viveva" e "cosa si pensava" all'epoca. Di fronte a questo, l'Avallone presenta situazioni, di cui andiamo a fare alcuni esempi, che francamente stridono, sia dal punto di vista dell'ambiente, sia dei personaggi.

Per quanto riguarda l'ambiente:
1) Francesca, dopo che un grave incidente ha ridotto il padre a un semivegetale, sbarca il lunario e conquista la propria indipendenza lavorando come ballerina di lap-dance, con prestazioni sessuali extra come straordinario, (in un locale che fra l'altro esiste veramente: questo). C'è solo un piccolo problema: Francesca ha quattordici anni. Ora, io non so dove Silvia Avallone creda di abitare ma una cosa del genere in Italia non esiste. Non che non esista la prostituzione minorile, di quella ce n'è a pacchi. Non che non esistano le ballerine di lap-dance che per extra offrono spettacoli privati e molto altro. Semplicemente, i due mondi non si incontrano. Non esiste night club in Italia che metta una quattordicenne (italiana, in particolare, magari una straniera con documenti falsi) a ballare su un palco. Ci sono certamente papponi (e spesso e volentieri padri e madri meritevoli di impiccagione) che offrono le figlie minorenni al ricco di turno ma non in un locale pubblico pubblicizzato su facebook. Poi magari il locale è nelle mani della mafia e ci spacciano ogni tipo di sostanza, ma certamente non ci fanno lavorare delle minorenni per farsi fare il culo dalla prima associazione di genitori del circondario.
2) L'Avallone ha una strana visione del lavoro in fabbrica. Tutti quelli che lavorano all''acciaieria Lucchini sono presentati come un incrocio fra i dannati dell'Inferno dantesco e gli schiavi di una piantagione di cotone americana. Abbrutiti dal lavoro, consumatori di sostanze stupefacenti, con livelli di istruzione che vanno da "scimmia con pollice opponibile" a "ho finito la terza media e ne vado fiero". E ovviamente non può mancare la classica storia fra la ragazza di successo diventata dirigente dopo essersi laureata lontano (lontano è Bologna eh, giusto per dire, che per tutto il libro sembra sta tizia sia andata a studiare in Borneo) e il povero operaio (Alessio) semianalfabeta ma dal fisico prestante.
Veramente, ci sono dei momenti in cui uno si ferma e si chiede: "ma che cavolo sto leggendo?", tanto diventa forte la sensazione di trovarsi fra le mani un harmony con la storia della contessa di Roveto che si innamora del nerboruto giardiniere. Sant'Iddio, ok gli stereotipi, ma cerchiamo almeno di usare stereotipi di questo secolo. E il bello è che il mondo che descrive l'Avallone, di fatto, non esiste. E se esiste certamente non si trova negli equivalenti della fabbrica Lucchini di Piombino. Non è che se un posto ha scritto "acciaieria" nell'insegna deve per forza essere un luogo di fatiche disumane e terrore psicologico. Per chi almeno sa dove si trovano le fabbriche e qualche volta c'è entrato dentro, gli operai metalmeccanici e siderurgici sono l'apice della categoria. Gente seria, istruita, sindacalizzata, praticamente l'ultimo rimasuglio di coscienza di classe del paese. Non ci saranno dei premi nobel ma nemmeno gente che per sopravvivere deve andare avanti a cocaina.
Certo, nella massa ci sono anche gli analfabeti, gli sfaticati, i ladri e quelli che vanno con le prostitute minorenni, ma il fatto che nel libro della Avallone ci sia solo gente di queste categorie non depone a favore della storia.
3) I quartieri popolari di Piombino non sono quelli descritti. Ma nemmeno lontanamente. Me nemmeno che tipo c'è andata a fare un giro e gli ha dato un'occhiata distratta. Poi la gente da quelle parti si è incazzata... chissà perché. Ci sono alcune descrizioni che manco le bidonville di Buenos Aires.
4) Vogliamo parlare delle bambine che fanno pipì per le scale del condominio? Ma... io boh. Di nuovo, chissà come mai la gente a Piombino s'è incazzata. Ma quando si è mai visto i bambini che pisciano nei corridoi? Ma che visione sarebbe dei condomini dove ci sono le case popolari? Ma dove siamo in "Non ci resta che piangere"? Operai=scimmie. Da denuncia.

Per quanto riguarda i personaggi:
1) Francamente ho trovato alquanto disturbante il personaggio di Mattia. Semplicemente uno dei tizi più fuori luogo della letteratura mondiale. Non voglio nemmeno parlare della storia che a diciotto anni è scappato a lavorare come mozzo sulle navi russe per fuggire alla polizia che lo cercava per una rapina alle poste. Diciamo che l'accetto sulla fiducia, anche se l'idea di un italiano che rapina le poste, fugge in Russia perché sennò lo sbattono in galera e quattro anni dopo torna a casa e va a lavorare in fabbrica come se niente fosse, mi sembra francamente incredibile. Cioè, delle due l'una: o eri Al Capone e dovevi sparire per evitare di finire al gabbio per la vita e allora non torni dopo quattro anni, oppure non hai fatto niente di così grave che ti dovesse costringere a nasconderti su una nave. Ma vabbé soprassediamo. Il momento più WTF? dell'intero libro, è però quando, tornato da una gita a Milano (anche qui, sembra sia stato due mesi in Colombia), racconta ad Anna, come se fosse la cosa più incredibile di sempre, di aver visto due donne che si baciavano in piazza.
Wow. No immaginatevi un attimo la situazione: "no dai, non puoi capire. Cioè, io sono quello che ha lavorato quattro anni sulle navi russe come mozzo, dove ero scappato per fuggire alla polizia per aver rapinato Poste Italiane, ho girato il mondo e adesso mi scopo la sorella quattordicenne del mio migliore amico però... ho visto 'na cosa, cioè: due donne che si baciano! In piazza! A Milano! Ma ti rendi conto? Sono troppo scandalizzato lololololol"
Non sto esagerando eh, la racconta esattamente così. Come se l'esistenza dell'omosessualità, in Toscana, nel 2001, fosse un taboo indescrivibile. Io boh, fosse ambientato negli anni '50...
2) La mamma iscritta a Rifondazione, il fratello iscritto alla Fiom che organizza scioperi contro la dirigenza e l'evento del 2001, che dimostra il disinteresse delle persone perché nessuno se ne preoccupa è... le Torri Gemelle. Sì ok, ce lo ricordiamo tutti delle Torri Gemelle. Anche l'Avallone che al tempo faceva le superiori. Essendo però quasi suo coetano, militando da sempre a sinistra, del 2001 mi ricordo un'altra cosa un tantino più scioccante per la nostra generazione. Genova. Carlo Giuliani. La Diaz. Le dicono niente questi nomi signorina Avallone? No perché se scrive di una storia operaia, con gente iscritta a Rifondazione, in Toscana, nel 2001, beh, diciamo che erano nomi un tantino presenti in quel periodo. C'è gente che se n'è infischiata alla grande dell'11 settembre mentre si ricorda bene quel luglio 2001.
3) Il fatto che Francesca diventi lesbica perché il padre la picchia e quindi de facto inizia a odiare gli uomini è un po' stiracchiata come cosa. Si può odiare/aver paura di una cosa e comunque esserne attratti. Questo era un punto che andava spiegato meglio che altrimenti sembra si riduca l'omosessualità semplicemente al "quanto tuo padre ti picchiava da piccolo".

Insomma, di problemi ce ne sono. Se un autore desidera scrivere "un po' quello che vuole" perché vuole dar spazio ai sentimenti, cosa che l'Avallone fa benissimo, può benissimo agire sull'ambientazione collocando la storia lontano, nella geografia o nel tempo. In altre parole, se ambienti la storia in Cile o nell'Italia del '500, puoi permetterti una serie di libertà (ovvero di inserire inesattezze) che comunque la maggior parte dei lettori non nota o ti lascia passare. Certo, c'è sempre il cagacazzi che ti viene a scrivere che i tuoi cavalieri usano un'armatura a piastre nel periodo in cui si usava quella a scaglie, ma sono pochi. Se invece ambienti la storia in un territorio che conoscono in tanti e molto vicina al presente, quelli che notano che dici cazzate aumentano esponenzialmente. E non è un buon biglietto da visita per un autore esordiente. Parla di sciatteria e mancanza di editing. E di ruffianeria, ovviamente.
Perché ruffianeria? Perché è evidente la voglia di fare sensazione. E ovviamente se piazzi una storia di degrado a Piombino in Toscana, fai sensazione e crei il caso editoriale. Che può anche andar bene eh, ma mi sembra un modo per vincere facile e anche uno spreco di talento.
Si poteva e si doveva far meglio.

Detto questo, passiamo ai voti:
- scrittura 7,5
- approfondimento psicologico 7,5
- trama 6,5
- ambientazione 4 

Giudizio finale 6,5
Bello, per essere un libro di famiglie disperate e per essere passato dallo Strega. Autrice capace ma sfaticata. Si deve impegnare di più.

Cfr. anche l'ottima recensione di Antonio La Malfa

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