Nel proliferare di temi che dimostrano inequivocabilmente che la genZ è condannata alla decadenza e alla morte culturale perché evidentemente inferiore a "quelli che c'erano prima", la questione de i ragazzi che non sanno più scrivere in corsivo per colpa dei tablet e degli smartphone è una delle mie preferite.
Intanto occorre fare una piccola precisazione: in genere la gente scrive sempre in corsivo. Anche quando scrive in "stampatello". In che senso?
Il corsivo prima ancora di essere uno stile specifico, è un insieme di attributi della scrittura. Le caratteristiche essenziali sono due:
l'inclinazione più o meno marcata verso destra - dovuta al fatto che la nostra scrittura va da sinistra a destra e quindi si tende a trascinare la mano in quella direzione;
la legatura fra le lettere - ovvero l'esistenza di quei punti di congiunzione fra una lettera e l'altra che abbreviano il percorso della penna sul foglio rendendo più facile e veloce il tracciato.
Ne consegue che anche i testi che normalmente definite come "scritti a stampatello" in realtà sono corsivo:
Esempi di legatura fra le lettere
Inclinazione verso destra
Andiamo avanti. Cos'è lo stampatello? Il termine in effetti non può che essere abbastanza recente, visto che si tratta di una derivazione di "stampare" che è a sua volta derivato da una radice franca. In particolare, viene creato per indicare l'imitazione fatta a mano del testo a stampa. Tuttavia è evidente che, quando Gutenberg ed epigoni si sono ritrovati a disegnare i caratteri mobili da passare ai fonditori, non si siano inventati delle forme casuali delle lettere ma siano andati a cercare qualcosa che già esisteva. Tutti i primi libri stampati nel '500, le cosiddette cinquecentine, presentano generalmente due tipo di caratteri: il gotico e la minuscola umanistica. Già nel secolo successivo quest'ultima aveva ormai stravinto il confronto e, a parte alcuni cambiamenti minori, è rimasta fondamentalmente la base di tutti i moderni font di stampa (compreso l'Arial che state leggendo adesso).
La minuscola umanistica era fondamentalmente una rielaborazione (proposta addirittura da Petrarca e realizzata nel secolo successivo) della minuscola carolina, introdotta da Carlo Magno per standardizzare la produzione di testi sacri sul territorio dell'Impero. Questo ovviamente se parliamo dello stampatello minuscolo. Se parliamo del maiuscolo le lettere che conosciamo sono originarie già dell'alfabeto latino.
Dove voglio arrivare? Principalmente al fatto lo stampatello non è una "innovazione moderna che i giovani debosciati apprendono dall'internet mica come noi che riempivamo i quaderni a righe con le lettere dell'alfabeto" e in quanto tale squalificata in quanto priva del prestigio che spetta alle scritture dei popoli civili. È invece molto buffo pensare che se domani scegliessimo di scrivere in stampatello e basta, di fatto staremmo tornando a scrivere esattamente come i dotti monaci del tempo di Carlo Magno. Avremmo fatto un enorme giro per tornare al punto di partenza. Un punto di partenza che era ampiamente ritenuto preferibile in quanto a chiarezza di grafia da gente come Petrarca che difficilmente può essere accusato di analfabetismo internettiano.
Secondo punto: ma il corsivo invece proprio come font grafico della scrittura a mano, a che serve? Intanto una precisazione: se cercate "corsivo" su internet, dappertutto vi diranno che è stato inventato da Francesco Griffo a inizio '500. Che è vero, ma è anche falso. Nel senso che i testi stampati con il font inventato da Griffo per Aldo Manuzio li abbiamo ancora e se andate a vederli vi sembreranno una forma di stampatello corsivo abbastanza simile a questo. Il corsivo che intendiamo noi e Valditara, è nato fondamentalmente con la scuola di massa ottocentesca. Il momento in cui si sono cercate di standardizzare alcune norme di calligrafia ben specifiche che abbiamo denominato "corsivo". In altre parole, e qui arriva la rivelazione, il corsivo è di fatto un cul-de-sac evolutivo calligrafico. Un'usanza durata due secoli che aveva un suo senso nel momento in cui un popolo sostanzialmente illetterato veniva messo forzatamente a contatto con l'arte della scrittura con strumenti non esattamente adatti al compito (provate a scrivere con pennino e inchiostro, tipo Harry Potter con la piuma d'aquila e poi ne parliamo) e per scopi massificati.
Quella che viene presentata come una tradizione secolare di grande civiltà da mantenere assolutamente altrimenti il mondo cadrà nella barbarie è stata in realtà un misto di necessità storica e gusto estetico ottocentesco che ci trasciniamo da allora. Se la linea di tendenza di abbandono del corsivo continuerà nei prossimi anni (e soprattutto se la smetteremo di praticare l'accanimento terapeutico scolastico su questo font calligrafico morente), fra un paio di secoli il caso del corsivo verrà probabilmente studiato come una parentesi storica buffissima attorno alla quale la gente ha continuato a comunicare scrivendo in stampatello come niente fosse.
E sinceramente, non sarà neanche un male.
La scrittura serve alla comunicazione. Lo stampatello (che scritto a mano diventa comunque un corsivo) è oggettivamente più immediato alla facile lettura del testo. Cosa confermata dal fatto che ce lo portiamo dietro con le sue evoluzioni dai tempi dei romani. Possiamo per favore agire in modo pratico ed efficiente e lasciar morire in pace il corsivo? Per favore. Vi giuro che non cambia niente e il riconoscere di aver speso un paio di anni della nostra vita ad imparare qualcosa di inutile non vi diminuisce come persone. Giuro.
Oggi ho il mal di schiena, sono a lavoro e il tempo è uggioso. Mi sembra il momento perfetto per parlare di geopolitica come solo chi disquisiva di virologia ai tempi del covid potrebbe. Tuttavia il 24 febbraio 2022, giorno dell'invasione russa dell'Ucraina, scrivevo questo post abbastanza amareggiato e a tre anni di distanza e con Trump che amichevolmente massacra Zelensky in mondovisione, mi sembrava il momento giusto per tirare qualche conclusione e pronunciare qualche prudente "io lo avevo detto".
La domanda è: di preciso, cosa non si è verificato di quello che avevo predetto in quel post?
Sinceramente, l'unico particolare che ho mancato è stata l'incredibile resistenza dimostrata dall'esercito ucraino e le spettacolari figure di merda di quello russo. Che mi sembra sensato autocondonarmi visto che né il Pentagono né FSB mi tengono al corrente sul grado di preparazione dei rispettivi eserciti e alleati. Su tutto il resto, mi sembra che gli USA, ad esempio, abbiano guadagnato praticamente tutto quello che era possibile guadagnare ovvero, in ordine:
adesione alla NATO di Svezia e Finlandia, praticamente senza colpo ferire;
compattamento dell'UE in funzione antirussa;
interruzione di tutti i rifornimenti energetici (almeno quelli diretti, poi c'è tutto quello che passa via mare e terra attraverso stati confinanti alla Russia che tutti facciamo finta non esista) a bassissimo costo per il continente europeo con sabotaggio sistematico dell'industria manifatturiera concorrente a quella USA (che comunque visti i dazi non sembra essere bastato... quanto cazzo fa cacare l'industria americana in qualunque cosa non riguardi armi e informatica?)
smembramento di ogni posizione russa nel medio oriente e dissanguamento della Wagner in Africa;
innalzamento della spesa militare ed energetica europea di cui gli USA beneficiano direttamente.
Mi sono dimenticato qualcosa? Probabilmente sì. Tutto questo è costato a Washington qualcosa intorno ai 100 miliardi in tre anni di cui una discreta parte comunque spesi al proprio interno nell'industria degli armamenti. Non male direi. La domanda, che mi sembra oltreatlantico si stiano facendo in molti, è la seguente: cos'altro possiamo guadagnarci ancora?
Mi sembra che la risposta che si stiano dando sia: non molto. E si stia quindi procedendo di conseguenza. È venuto il momento di riportare il Cremlino agli onori del mondo, sottraendolo all'abbraccio mortale con la Cina. E se questo comporta sacrificare gli ex alleati ucraini beh... innanzitutto non sono esattamente alleati no? Lo abbiamo precisato fin dal primo momento che non c'era nessun trattato e che quindi ogni aiuto era legato soltanto alla nostra infinita generosità che ci obbliga a difendere la democrazie dalla barbarie autoritaria. In secondo luogo non è che gli USA abbiano effettivamente un ottimo curriculum in materia di "non lasciare gente che si è affidata a loro nella merda". Per info citofonare a chi preferite fra Vietnam, curdi, Afghanistan. E fra poco direi anche a Kiev. Quindi Zelensky deve farci il santissimo piacere di chinare il capo, ammettere la sconfitta e possibilmente dimettersi lasciando il posto a qualcuno di più ben visto dall'altra parte del confine. O magari a un militare, qualcuno di concreto con cui sia possibile trattare affari.
Tutto questo, lo vorrei precisare per i miei compagni a sinistra per cui Trump è il male assoluto, sarebbe successo anche con Biden eh. O con Kamala. Gli interessi degli USA in questa triste storia sono stati ampiamente soddisfatti e il Pacifico è assai più importante per loro di quanto potrà essere mai l'ennesimo paese ex sovietico da integrare nella loro alleanza militare. La verità è che a nessuno frega un cazzo se la Russia si tiene quei due staterelli di confine come cuscinetto verso occidente (e se fossi nella Moldavia non dormirei esattamente sonni tranquilli). La verità è che in America era il momento di tirare i remi in barca e questo sarebbe avvenuto a prescindere. Anzi, oserei dire che Trump, con il suo modo di fare da elefante in cristalleria, sia esattamente la persona adatta per questo sporco sporco lavoro. Fosse toccato a Kamala abbandonare l'Ucraina avrebbe avuto un sacco di problemi con i propri elettori. MOLTO meglio che se ne occupi il presidente pazzo.
Se fossi complottista potrei addirittura pensare che il tenere un tizio in stato di demenza senile fino all'ultimo e poi cambiarlo con la candidata meno apprezzata nel partito sia stato fatto esattamente per questo: per lasciar chiudere ad altri tutte le questioni spinose lasciate in sospeso. Ma fortunatamente non sono complottista. Mi limito a pensare che fra i dirigenti del Partito Democratico americano non ci sia stato poi tutto questo dispiacere nell'immediato dopoelezioni. A volte è così comodo stare all'opposizione...
Parlando di Putin c'è poco da dire. A parte il fatto che chiunque pensi abbia vinto questa guerra (e qui ci sono un sacco di miei compagni che lo pensano) non ci ha abbondantemente capito un cazzo. La Russia ha iniziato tutta questa storia nel 2014 quando è stata costretta ad occupare militarmente la Crimea perché quello che fino ad allora era un loro stato satellite minacciava di escluderli dal Mar Nero, per di più installando basi e missili occidentali nel proprio territorio. Poi ha finanziato otto anni di guerra civile tramite i separatisti del Donbass che da parte loro qualche buon motivo dovevano pur averlo: non esiste luogo al mondo che tenga in campo migliaia di combattenti e un intero fronte fortificato contro un esercito regolare senza avere il supporto della popolazione locale. Non funzionando neanche questo hanno scatenato un'invasione che nei loro programmi doveva durare massimo due settimane sostituendo Zelensky con un governo fantoccio. Si sono invece ritrovati invischiati in un conflitto convenzionale di tre anni, a dover smantellare e ricostruire un intero esercito tornando alla base reggimentale, a consumare la gran parte del proprio arsenale bellico messo insieme in mezzo secolo di Unione Sovietica, con guadagni di territorio ridicoli e perdite umane ed economiche enormi. Tutto questo perdendo contemporaneamente risorse incalcolabili di mancato commercio con l'Europa, dovendo gestire l'intero riposizionamento dei canali energetici verso l'Asia, dovendo abbandonare ogni interesse e alleato in Africa e medio oriente e finendo sotto ricatto perfino di posti come la Corea del Nord. Avendo un miliardo e qualche centinaio di milioni di cinesi a due passi da una Siberia spopolata che sembra implorare una colonizzazione.
Non avete idea di quanto abbia bisogno Putin di tornare in una posizione mediana fra Cina e occidente. Potrebbe finire per accettare quelle quattro mezze province conquistate lungo la linea del fronte e una promessa di neutralità perenne dell'Ucraina giusto per mettere fine a tutto questo casino e potersi vantare in patria di almeno non aver perso la penultima provincia russa in Europa. Credo pretenderà anche una promessa segreta di non andargli a rompere il cazzo in Georgia. Se non chiede neanche quello sta veramente alla canna del gas.
Poi c'è l'Ucraina che perderà il 20% del suo territorio, verrà smilitarizzata e ovviamente non avrà nessuna garanzia di sicurezza da parte occidentale. In compenso potrà scrivere in tutti i libri di storia di aver resistito valorosamente all'invasione russa. Tipo Finlandia. Ovviamente non comporterà nessun vantaggio pratico però chissà, prima o poi potremmo farla entrare in UE. Ne parliamo fra un quarto di secolo, diciamo?
Poteva fare altro? C'è chi ha detto che una posizione neutrale in cui mediare fra Russia e occidente, tipo Austria durante la guerra fredda, sarebbe stata la soluzione migliore. Del resto esistere a due passi da uno stato imperiale e dittatoriale che crede di vantare enormi crediti storici sul tuo territorio non è mai facile. Non è facile per nessuno diciamo, neanche per chi ospita basi militari e migliaia di soldati di una potenza straniera sul proprio territorio solo perché ottant'anni fa ha perso una guerra. Vero Italia e Germania?
Dall'altra parte non è che non avessero le loro buone motivazioni. Voler avere una politica totalmente indipendente dallo stato dittatoriale di cui sopra, decidere del proprio destino, parlare solo ucraino in un luogo che si vuole abitato solo da ucraini: sono tutte pretese ragionevoli per chiunque sia "un po' nazionalista". Del resto, per anni gli alleati americani e inglesi hanno ripetuto di andare avanti, che la Russia non avrebbe osato opporsi all'occidente, che quasi tutti gli stati ex sovietici si erano uniti alla NATO. Quindi perché non anche l'Ucraina? E quindi se una guerra di indipendenza occorreva farla, si sarebbe fatta e si sarebbe vinta. Gli ucraini avrebbero messo il sangue, gli USA le armi. E allons enfants de la Patrie, le jour de glorie est arrivé!
C'è solo un piccolo problema: che le guerre di indipendenza purtroppo si possono anche perdere. Soprattutto se dall'altra parte c'è un paese con cinque volte la tua popolazione. E fidarsi delle promesse americane non è mai esattamente una buona idea.
E alla fine c'è l'Europa, che come previsto pagherà tutto quello che c'è da pagare, senza guadagnarci niente e senza neanche avere la soddisfazione di aver deciso del proprio destino. Noi siamo gli spettatori paganti di tutto questo casino e lo rimarremo ancora per un bel pezzo.
Il Sanremo di quest'anno è speciale. Intanto è finito il regno dell'Oscuro Signore dei Sith Amadeus, che è durato più della pandemia di Covid. Poi sembra che il festival abbia raggiunto lo share record del 74%. Poi ci sono io che ne ho visto addirittura mezz'ora in diretta, dalle 9 alle 10 e 10 della prima sera. Quindi urge la classifica.
Le regole sono sempre le stesse:
- le canzoni vengono riascoltate tutte una sola volta in ordine inverso;
- i voti sono su base decimale e non hanno nessuna attinenza con la realtà o con la storia della musica al di fuori di Sanremo 2025;
- i parimerito esistono e sono parte fondante di questi post;
- il mio giudizio è l'unico vero e insindacabile al 95%, statistica cerficata.
Andiamo (diosanto 29 canzoni -.-)
18) Serena Brancale - Anema e core : 4+
Mi scuso personalmente col pubblico argentino, con tutti gli elettori all'estero e pure con i commentatori di youtube che italia merda questa canzone spaccherebbe all'eurovision. Sicuramente c'avete ragione voi. Decisamente troppo avanti per il pubblico medio italiano. Mi schiero nella medietà.
17) Tony Effe - Damme 'na mano : 4,5
Per me sul "sono pronto a sbagliare come un'uomo d'onore" potremmo tranquillamente passare alla prossima canzone. E sinceramente non me ne frega un cazzo se non intendeva quello. Poi personalmente il neomelodico napoletano ripassato in padella a Roma mi farebbe anche simpatia ma forse anche no.
16) Clara - Febbre: 5--
L'utilizzo di onomatopee e parole troncate alla cazzo che distruggono ogni musicalità, che pure ogni tanto sarebbe presente, la classifica ampiamente come canzone della gen Z. E vorrei tanto sapere chi cazzo ha detto je t'aime a Clara Soccini, cresciuta a Travedona Monate in provincia di Pavia. In assenza di una conferma biografica di un amore francese assegno un 5-- d'ufficio.
15) Massimo Ranieri - Tra le mani un cuore 5
Ammetto il mio bias: Ranieri che arriva nel 2025 a Sanremo con una canzone così prettamente sanremese, come se niente fosse cambiato nell'ultimo quarto di secolo e non ci fosse Tony Effe due camerini accanto, a me un po' di tenerezza la fa. Per questo mi lascio trasportare dalla nostalgia a quando ero bambino e Sanremo si vedeva tutti assieme sul divano davanti alla tv a tubo catodico.
Comunque la canzone fa cacare.
14) Modà - Non ti dimentico - 5+
Madonna che cringe. Voglio dire, in questo blog diamo sempre punti bonus a chi inserisce roba tipo "un quadro di Kandinsky" nel testo e le storie di rotture muovono sempre a compassione, però anche meno. C'era talmente tanta enfasi in sta canzone che si rischiava di scivolarci sopra. Però Francé daje, siamo contenti che adesso stai meglio.
14) Marcella Bella - Pelle diamante : 5+
Qua sovverto fieramente la classifica. Nel senso, questa canzone fa cacare quanto quella di Ranieri e in un certo senso è altrettanto straordinariamente fuori tempo. Però, nel suo essere così anni '80, acquisisce un valore quasi archeologico. In più è evidente che alla Marcella andava di fare sta cosa e se ne è sbattuta ampiamente di chiunque gli dicesse (ampiamente a ragione) "ma sei sicura?". Non gli do la sufficienza ma la quasi salvo.
14) Gaia - Chiamo io, chiami tu : 5+
Sono ampiamente sicuro che esiste una vecchia canzone molto bella in cui una lei aspetta una telefonata e non sa se chiamare a sua volta e allora chi vincerà? Ce l'ho sulla punta della lingua e potrei quasi canticchiarla ma il ritornello di Gaia me l'ha abrasa dal cervello. Non potendo spendere una giornata per trovare il corrispettivo bello di sta roba per fare il confronto gli do la quasi sufficienza perché mi piace la voce. Il motivo per cui i cantanti nel 2025 non usino il loro cazzo di cognome rimane comunque un mistero.
13) Rkomi - Il ritmo delle cose : 5,5
Allora, il ritornello fa cacare. Però per quanto riguarda il testo c'è ampiamente di peggio. Si parla di merda d'artista, si citano le macchie di Rorschach. In un mondo in cui per andare a Sanremo basta inserire una rima baciata ogni due strofe, il buon Mirko ci ha provato. Io la quasi sufficienza la metto.
13) Sarah Toscano - Amarcord :5,5
Ci sono canzoni estremamente sanremesi che non hanno niente per distinguersi in negativo e quindi veleggiano naturalmente verso la sufficienza. Il problema è quando non hanno niente per distinguersi del tutto e ti annoiano nell'istante stesso in cui iniziano. E questa è la triste storia di Amarcord. Ma Sarah è giovane, ha il cognome, farà meglio la prossima volta.
12) Joan Thiele - Eco : 6-
Mi piace la chitarra. Odio il modo in cui canta. Mi piace circa il testo ma "bang bang woo" mi ha abbastanza devastato. È andata vicinissima alla sufficienza. Ma vicino conta solo a bocce.
12) Shablo feat Guè, Joshua e Tormento - La mia parola 6-
Il ritornello è carino e in radio andrà fortissimo. E qui finiscono i complimenti e in realtà anche la canzone. Ed è inutile che mi raccontiate di quanto sia bello il pezzo hip hop a Sanremo, hanno usato 5 parole inglesi (stop, top, flow, block, hot, goat) per chiudere i primi cazzo di 5 versi. Versi che sarebbero banali e stra-abusati pure se cantassero in inglese.
11) Francesca Michielin - Fango in paradiso : 6
Ecco, qui entriamo nel settore delle canzone inoffensive propriamente dette. Letteralmente. Nel senso che non offendono. Non sono brutte, non sono belle. Sono lì, con un testo dimenticabile e un ritornello quasi passabile. Questa canzone esiste. Ne sentivamo il bisogno? Probabilmente no, ma c'è.
11) The Kolors - Tu con chi fai l'amore : 6
Si salvano dalla noia pura solo perché ha un bel ritmo. Solo che febbraio è un po' prestino per la canzone dell'estate. Le spiagge sono ancora chiuse.
10) Rose Villain - Fuorilegge : 6+
Sono costretto a dare più della sufficienza perché c'è oggettivamente molto di peggio e mi piace la voce. Per rimanere in tema con la canzone, spero comunque le diano 5 anni di galera senza condizionale per quel balletto di merda.
10) Elodie - Dimenticarsi alle 7 : 6+
Quando decide di cantare ha effettivamente una bellissima voce. Però mi ha annoiato a morte. A suo favore si può dire che almeno non ha messo un balletto del cazzo mentre c'è il ritornello.
9) Noemi - Se t'innamori muori : 6,5
Vi dirò, questa mi ha mosso qualcosa. Sarà quella malinconia da storia alla fine che un po' ti fa pensare a La canzone dell'amore perduto e quando ti ci fa pensare ti ricordi perché De Andrè è De Andrè e perché Noemi è Noemi. Famo che gli diamo un sei e mezzo ed è andata benissimo così eh.
9) Coma_Cose - Cuoricini : 6,5
1) dire "al giorno d'oggi una canzone dura quanto un temporale" non ha un cazzo di senso. Un temporale estivo magari ma un temporale e basta dura tanto.
2) sta roba incarna quanto di peggio esista nel panorama musicale italiano, nel senso che è una canzone programmaticamente creata per stare sui social ed essere canticchiata dalla fascia femminile 30-50.
3) Coma_Cose sono chiaramente servi del Void e del Caos primigenio e vanno fermati.
Mi spiace di non poter dare meno ma il balletto di Rose Villain funge da barriera mistica attorno al 6+.
8) Irama - Lentamente : 7--
Un altro Sanremo è passato insieme a un'altra canzone mediocrissima di Irama che in qualche modo arriva in top 10. Sarà che la prima sera si è messo la giacca con le spalline da ufficiale napoleonico. Sarà che ha l'aria patita da vampiro della Rice. Sarà l'acqua, sarà la macchinetta, sarà il caffè. Io posso solo riscrivere mezzi voti per dargli un 7-
Sta roba è una lagna ma non ha la malvagità implicita di Cuoricini.
8) Francesco Gabbani - Viva la vita : 7--
Parlando di gente che inspiegabilmente è in top 10 (soprattutto in una classifica che non comprenda i parimerito), abbiamo Gabbani con un pezzo che fa il cosplay di Albano. Dopotutto lui inizia a invecchiare e Trump prometto ogni giorno la pace in Ucraina. Il mercato russo avrà bisogno di cantanti italiani non appena toglieremo le sanzioni. Posizionamento furbo in prospettiva futura.
7) Fedez - Battito : 7-
Sinceramente, a livello puramente musicale non mi spiace neanche tantissimo e ci sono alcune buone intuizioni. Per quanto possa stare antipatico, Fedez il suo lavoro lo sa pure fare. Però sta saga eterna dei Ferragnez c'avrebbe pure rotto tre quarti di cazzo. Ma non poteva fa una canzone, boh, sulla pizza? La pizza piace a tutti, è altrettanto nazionalpopolare e non ti costringe a metterti le lentine a contatto nere sugli occhi.
6) Rocco Hunt - Mille vote ancora : 7
Allora, a me piace. Grande fan del dialetto napoletano in musica. Anche perché capisco solo il senso generale e non posso giudicare troppo negativamente il testo. Le tematiche sono abbastanza interessanti. Però "vote" vuol dire proprio "volte". E pronuncia anche un po' la "l" mentre canta. Quindi perché cazzo lo scrivi così? Non lo so, sta roba mi triggera troppo e fa perdere a Rocco un quarto di punto. Comunque carina dai.
6) Simone Cristicchi - Quando sarai piccola : 7
Non posso dare 7- perché non è Irama. Non posso dare 7+ perché è come se il testo fosse stato scritto a quattro mani con Gramellini. Seriamente: la tematica è sentitissima, il modo lacrima strappa storia con cui viene trattata è al limite dell'offensivo e anche un po' volgare. Sono sicurissimo che Cristicchi abbia cercato di fare del suo meglio perché è una persona seria. Non credo ci sia riuscito.
5) Bresh - La tana del granchio : 7+
Un po' paracula. Un po' tanto paracula. Nel senso che il testo non vuol dire quasi un cazzo ma le immagini sono molto carine. Also mi piace tantissimo la musica. È all'insegna dello zero sbatti ma ha bricioli di ispirazione dentro. Bella.
5) Giorgia - La cura per me : 7+
Diciamo una cosa, Giorgia ha oggettivamente un vantaggio sleale sul normale frequentatore del palco di Sanremo: è effettivamente una cantante. Nel senso che nei primi 30 secondi ti dici "oh wow, ma questa è davvero del mestiere!". Poi ha lo svantaggio che le hanno scritto due canzoni belle in un quarto di secolo di carriera. E questa non è una delle due. Sorry.
4) Lucio Corsi - Volevo essere un duro : 7,5
A persone di cui apprezzo il parere è piaciuta tantissimo. A me no. Carina, molto carina. Mi fa venire in mente un Tricarico che però a me non è che abbia mai fatto impazzire. Nel testo la retorica è leggermente sopra i buoni sentimenti. Quel tanto che basta a farmela calare un po'. Verso il 7 e mezzo. Ceccherini nel video ufficiale gli farebbe prendere punti bonus ma non vale per il contesto Sanremo.
4) Willie Peyote - Grazie ma no grazie : 7,5
Diciamolo, in questo festival non sono mancate le tematiche politiche e sociali. Nel senso che non se ne è sentita la mancanza. E proprio per questo che invece Willie Peyote risolleva il popolo di sinistra che ne sentiva il bisogno. Carina, belle rime, buon ritmo, ritornello simpatico e facilmente ricordabile, musica non originalissima ma orecchiabile. Poteva essere meglio? Poteva essere Silvestri o Elio, però ci accontentiamo.
3) Achille Lauro - Incoscienti giovani : 8-
L'Achille Lauro meno Achille Lauro dell'ultimo decennio mi sorprende con una bella canzone. Dove per bella si intende "mi farebbe venire in mente Battisti se Battisti avesse mai usato autogrill in un testo". L'inserimento del sax mi colpisce durissimo in uno dei miei punti deboli. Quanto basta per portarlo sul podio.
2) Olly - Balorda nostalgia : 8
Capisco perché abbia vinto. Ha una bella voce. Musicalmente è semplice ma ha delle bellissime variazioni. Poi si arriva al testo. E per quanto la gente si spertichi parlando di scuola genovese, di Tenco e De Andrè, raga, io in "distesi sul divano col telecomando in mano" questo grande labor limae non lo vedo. Peccato.
1) Brunori SAS - L’albero delle noci : 8+
Un po' come Giorgia si sente che fa la cantante di mestiere, si sente che Dario Brunori di mestiere scrive canzoni. Questa non è in assoluto una delle sue migliori? Assolutamente vero. È una delle migliori sul palco di Sanremo 2025? Eh sì. Davvero l'avresti fatta vincere? Eh, mi sa proprio di sì.
L'albero delle noci è la mia vincitrice di Sanremo 2025. Che volete? C'ho quasi quarant'anni eh.
Passano i mesi, passano i libri letti in quel di paese dove vivo. Più che andiamo avanti e più che mi chiedo se mi ricorderò mai di tutta la roba che leggo per andare una volta al mese a discutere. Probabilmente no. Per questo forse è meglio se me la segno un po' per volta. Gli ultimi tre libri poi seguono tutti un'unico filone e quindi è particolarmente sensato parlarne in un'unico post. Quindi questi sono gli ultimi tre mesi: enjoy!
Virginia Wolf - La signora Dalloway
o "Sul perché gli scrittori hanno bisogno degli editor" (ndr.)
Quando abbiamo scelto La signora Dalloway per il mese di dicembre ero felicissimo. Intanto sono sempre contento di leggere i classici in generale. Visto che la narrativa non è decisamente il mio genere d'elezione, ho quasi sempre l'impressione che leggendo roba contemporanea stia un po' perdendo il mio tempo. Già quello che leggo è per me poco interessante, figurati leggere roba che non si sa nemmeno se fra cinquant'anni sarà ancora ricordata o verrà spazzata via dalla storia. Con i classici mi sento di andare sul sicuro. Magari mi fanno cagare ma quanto meno mi sarò recuperato un grande pezzo della letteratura mondiale. In secondo luogo, alla veneranda età di 38 anni, non avevo mai letto niente della Woolf.
Ma come? Niente niente??
Niente niente. Quindi ho colmato un grosso gap.
Ero quindi molto felice. Una felicità che ho rimandato per tutte le festività, sicuro che in un paio di giorni quel libretto da poco più di 200 pagine me lo sarei mangiato a colazione. Ed è esattamente quello il momento in cui la hybrys ti vede e colpisce durissimo.
Quindi, cosa si può dire de La signora Dalloway?
Ci sono molti modi in cui si può descrivere il modo di scrivere della Woolf. A me è piaciuta particolarmente la definizione che ha dato una signora al club del libro, chiamandolo "suntuoso". Concordo in pieno. Anche attraverso la traduzione (ottimo lavoro signora Daria Fusini) si percepisce l'assoluta padronanza della lingua. Tutto viene descritto in modo ricco, estremamente raffinato, con uno stile che in alcuni momenti tende all'aulico. Da una parte non si può che ammirare, dall'altra a volte tende a diventare un problema. Nel senso che è una ricchezza che non ha particolari vette. Lo stile è altissimo in ogni punto e lo rimane per l'intera durata della narrazione. Il passo da suntuoso a bulimico è molto spesso breve e qui si danza molto sul confine fra l'uno e l'altro.
La struttura del romanzo è, sulla carta, geniale. Farebbe impazzire ogni critico letterario e pure io sono costretto ad arrendermi e riconoscerlo. Riprendendo l'unità di tempo, luogo e azione del teatro greco, viene messa in scena una giornata dell'alta borghesia inglese del 1923, con un narratore esterno onnisciente che, in un'unica carrellata, senza interruzioni, descrive i punti di vista di ogni personaggio della storia passando da uno all'altro con brevi passaggi di raccordo. A una prima vista molti potrebbero scambiarlo con un flusso di coscienza ma è solo un'impressione.
I personaggi sono tutti interessanti e i temi trattati enormi. Abbiamo il soldato tornato dalla guerra che soffre di stress post traumatico e che alla fine sceglie il suicidio, i dottori incompetenti di depressione e traumi psicologici che lo trattano malamente (e la Woolf ne sapeva qualcosa no?), la signora boghese (la protagonista) che ha rinunciato al grande amore in favore di una sistemazione più prosaica in seno alla società, l'amica irriverente e povera che ha sposato un marito al di sotto della sua condizione sociale, il marito ben inserito che ama la moglie nonostante non riesca a dirglielo, l'amante rifiutato fuggito all'esterno con un matrimonio fallito alle spalle e così via. Tutti temi estremamente interessanti affrescati con grande padronanza.
Il tutto viene affogato, sommerso, devastato e reso illeggibile dalla stessa struttura e dallo stesso linguaggio che ho lodato poco sapra. Ogni volta che si inizia ad appassionarsi alla storia, si viene deviati dalla descrizione tremendamente prolissa di qualcosa quando non proprio su un altro personaggio da cui si devierà di nuovo nell'istante stesso in cui rischia di diventare interessante. Raga, il libro è di una noia mortale. Ma tipo che mi sono martellato le palle per riuscire ad arrivare alla fine. È l'esempio definitivo dell'arte che non ha nessun interesse nell'essere recepita dal pubblico. O meglio, dal grande pubblico.
A volte un grande autore ha bisogno di un editor del cazzo che lo prenda da una parte e gli dica: Virgì, tutto questo è bellissimo. Questa struttura è geniale e Dio mio se scrivi bene. Ma per favore, dai retta a uno stronzo, taglia un trenta percento dalla boria che ci hai messo dentro e per favore arriva a un punto ogni tanto.
Ma quell'editor non c'era. Il libro è un capolavoro, ne convengo. MA CHE PALLE.
Simone de Beauvoir - Le belle immagini
che a volte basta dividere in capitoli eh (ndr.)
Dalla borghesia inglese degli anni venti passiamo a quella francese degli anni sessanta. Laurence è una donna sposata, con figlia, che lavora come agente pubblicitario. Si occupa di fornire "belle immagini" appunto, per i prodotti messi in vendita dalle aziende. Ha una figlia, un amante e un marito Jean-Charles di cui forse è ancora innamorata, forse no, ma che di certo trova "adeguato" alla vita che conduce. Personaggi secondari la madre Dominique, donna mondana separata che entra in crisi quando viene lasciata dal ricco Gilbert, e il padre, di cui adesso non ricordo il nome e forse un nome manco gli viene dato, che è il punto di riferimento assoluto di Laurence e descritto come perfetta incarnazione dello stoicismo e della superiorità culturale.
In 145 pagine appena Laurence attraversa una serie di esperienze minori che la portano a ripensare alla sua vita e a tutte le persone che la circondano sgretolando il mondo apparentemente felice che si era creata e che era tale solo in superficie. Ogni personaggio svela la sua vacuità, le sue debolezze, le sue finzioni interiori e le menzogne che racconta a se stesso restituendo un panorama in cui nulla è vero ma tutti vivono finzioni che si sono creati solo per dare un senso alla propria esistenza.
La critica, che potete leggere ovunque, e praticamente chiunque possiate incontrare in giro che abbia letto il libro, vi dirà che è una tagliente critica della borghesia e della vita di certi ceti sociali. Facendone un testo politico e segnando grossissimi punti a suo favore sul palcoscenico della discussione pubblica. E non ci avrà capito quasi un cazzo.
Non che il tema non sia presente ma Simone de Beauvoir è probabilmente la più grande scrittrice dell'esistenzialismo francese. Migliore di Sartre, se vogliamo dirla tutta. Quando scrive parla della società ma parla soprattutto dell'uomo. Il libro destruttura le vite dei personaggi e sottilmente vi invita a chiedervi: la vostra vita è diversa? Voi siete diversi? Quanta menzogna c'è in quello che vi raccontate per dare un senso al vostro alzarvi ogni mattina? Quante bugie dite a voi stessi, prima ancora che agli altri?
È la mia scrittrice preferita di sempre. Tutti gli uomini sono mortali è il suo capolavoro supremo ma anche questo è stupendo. A saperlo leggere.
Domenico Starnone - Confidenza
carino e trascurabile (ndr.)
Pietro è tipo Onizuka di GTO. Professore di scuola superiore entrato giovanissimo di ruolo (si vede che è ambientato negli anni '70 eh), amatissimo dai suoi allievi di cui cambia la vita in meglio e che a differenza di Onizuka riesce effettivamente a portarsi a letto una studentessa. Teresa, con cui vive questo amore travagliato che però va a finire male. Prima di lasciarsi si raccontano a vicenda il loro segreto più oscuro, quello che se rivelato potrebbe distruggergli la vita e poi se ne vanno ognuno per la loro strada. Pietro diventerà un intellettuale di media grandezza in Italia, scrivendo un paio di libri sull'insegnamento. Teresa una apprezzatissima ricercatrice internazionale fra USA e Europa.
La storia è vista quasi esclusivamente con gli occhi di Pietro che si crea questa realtà parallela in cui il suo amore per Teresa e la paura che Teresa riveli il suo segreto lo spingono a essere un uomo migliore, influendo positivamente sulla vita di tutti quelli che ha attorno. Sul finale però ci sono due piccole parti che lo vedono dall'esterno, tramite gli occhi della figlia, giornalista, che lo adora, e di Teresa stessa.
Si parla dell'Italia, di come basti poco, visto l'ambiente provinciale fatto di amici di amici, per diventare qualcuno. Della pochezza di certi personaggi. Di rapporti tossici fra gente che dovrebbe volersi bene e invece, siccome certi hanno ottenuto molto e altri poco, allora no.
Il tutto sostenuto da questa tensione sotterranea del "grande segreto" rivelato da Pietro a Teresa che tutti ci chiediamo quale sia.
Poi arriva l'ultimo capitolo raccontato da Teresa che ci dice ah boh, ma io manco mi ricordo che mi aveva raccontato quello scemo ma secondo me non era neanche sta gran cosa. Quello è sempre stato un po' strano.
EHI MA CI HAI DETTO COME FINISCE!
Esatto. Il libro è un immenso scam. Se vi piace anche senza avere tutta la tensione del "grande segreto" allora non vi ho tolto niente. Se vi avesse fatto cagare e foste stati sostenuti solo da quell'aspettativa, vi avrei fatto un favore. Prego.
Starnone è l'allievo a cui la prof da otto e mezzo scrivendo sul tema "molto scorrevole". C'è chi dice sia anche la Ferrante sotto falso nome. Non mi stupirebbe. Detto questo sì: è molto scorrevole. Il libro si legge di un fiato e alla fine ti chiedi: "ok, ma che ho letto di preciso?"
Per la rubrica cose di cui non frega praticamente un cazzo a nessuno: "Il Jeansgate di Magnus Carlsen ai World Rapid and Blitz Championship di scacchi 2024"
Il Magnus di cui sopra (ndr.)
A scopo chiarificatore, rapid e blitz sono due varianti del gioco con minor tempo a disposizione per concludere la partita (meno di un'ora in rapid, meno di 10 minuti in blitz) a differenza degli scacchi classici (dove si ha un'ora e mezza). Magnus Carlsen è l'attuale campione del mondo di queste due modalità (non è più campione di classic dal 2023 quando decise di non difendere il titolo con le immortali parole nah, troppo sbatti).
Il fatto: la prima giornata non va bene per Magnus che vince una partita, ne pareggia 3 e in game 5 viene sconfitto a sorpresa da Danis Lazavik (gran maestro bielorusso diciottenne). Nella seconda giornata sembra in piena ripresa, vince game 6 e 8 e pareggia il 7, quando succede il casino. I giudici FIDE (federazione scacchistica) lo bloccano, gli appioppano una multa di 200 dollari e gli ingiungono di andarsi a cambiare perché i jeans che indossa infrangono il dress code dell'evento. Magnus risponde una roba tipo "vabbè, pago sta multa ma ormai ho giocato fino a qui, fatemi finire la giornata e domani vengo con altri pantaloni". In risposta viene squalificato da game 9. Sembra che qualcuno azzardi anche un "così ha tempo di cambiarsi e tanto è Magnus, gli basta vincere tutte le altre partite da qui alla fine e si riconferma campione". Magnus annuncia il suo ritiro dalla competizione attuale & pure dal campionato blitz.
La versione della FIDE: l'organizzazione fa notare che il dress code è conosciuto e accettato da tutti i partecipanti e protegge i giocatori da robe tipo tizio x gioca vestito da IT perché a tizio y fanno paura i pagliacci o mi presento in costume da bagno perché mi fa caldo.
Qualcuno abbozza l'obiezione: "Ma pure i jeans?"
A cui si risponde con "se sembrano pantaloni classici magari li facciamo passare però se diciamo che vanno bene poi si presenta la gente con la roba strappata e nessuno vuol vedere gambe pelose sorry".
Fanno inoltre notare che quella stessa mattina hanno fatto tornare in albergo Ian Nepomniachtchi (oh è russo, si chiama così), a cambiarsi le scarpe da ginnastica con un paio di scarpe classiche quindi è tutto normale, non si fanno eccezioni, dura lex sed lex.
La versione di Magnus: ho avuto una prima giornata di merda e mo sta roba dei jeans peddavvero, sono decisamente troppo vecchio per queste stronzate
Cosa la gente dice ci sia sotto: c'è un'organizzazione che si chiama Freestyle chess https://www.freestyle-chess-players-club.com/ che è fondamentalmente un club privato di scacchisti con elo sopra i 2725 che da qualche anno organizza eventi paralleli a quelli della FIDE e punta a creare un proprio campionato del mondo (banalmente per avere direttamente accesso ai soldi degli sponsor invece di accontentarsi dei premi per i vincitori). Per chi si ricorda, praticamente quello che alcuni club di calcio europei hanno tentato di fare poco tempo fa con la Superlega che tentava di svincolarsi da FIFA e UEFA. Proprio pochi giorni fa la FIDE aveva rilasciato un comunicato in cui prometteva che non aveva cattive intenzioni e che non avrebbe preso nessun provvedimento contro gli aderenti a freestyle.
La FIDE si sta vendicando contro il cofondatore di Freestyle?
Magnus ha fatto tutto apposta per lanciare il proprio campionato del mondo?
È tutta una coincidenza ma Magnus ne ha approfittato per sganciarsi?
Tutte queste cose assieme?
Nel 2025 ci saranno due campionati mondiali di scacchi? Probabile. Chissà.
Due settimane fa ero malato. Quando sono malato mi deprimo, vorrei che tutti nel mondo soffrissero quanto me e soprattutto mi consolo soltanto pensando che magari qualcuno sta peggio. Ottimo momento quindi per riprendere una saga in cui la gente muore malissimo e nei modi più assurdi.
Oggi parliamo di Final Destination, un B movie che per un paio di buone intuizioni ha segnato una generazione, diventando poi una serie di film abbastanza ridicoli e inutili. E lo facciamo andando in ordine.
Quello senza numero perché è il primo
Era l'inizio del nuovo millennio. X-files si stava avvicinando alla conclusione dopo aver dato tutto quello che poteva dare già da un paio d'anni e James Wong cercava un modo di riciclare una trama che Jeffrey Reddick gli aveva proposto. Mette quindi insieme un gruppo di giovani attori promettenti, fra cui ricordiamo Kerr Smith (preso direttamente dai set di Dawnson's Creek), Sean William Scott (reduce dal primo American Pie) e un Devon Sawa ventiduenne che si finge adolescente, e con un budget contenutissimo si porta a casa il film.
Che è sicuramente un trionfo al botteghino (110 mln di guadagno per 23 mln di spesa) e generalmente un discreto successo a livello di pubblico.
Per tutti i genZ capitati qui per caso: cos'era e cosa funzionava in questo film?
Sul cosa è abbastanza semplice: si trattava di un horror molto basic con la classica meccanica del gruppo selezionato di persone predestinate a morire. Alex Browning è un liceale in partenza per la gita scolastica in Francia, quando in un sogno premonitore vede l'aereo esplodere. Preso dal panico si fa buttare fuori dall'aereo insieme ad alcuni compagni di classe. Il volo 180 esplode davvero ma dopo alcuni mesi i superstiti del volo iniziano a morire in base a quello che sarebbe stato il loro posto a sedere.
Il cosa funzionava può invece essere riassunto in 3 punti:
la scelta del villain che, a differenza del classico serial killer o del mostro variamente fantasy, si identificava come la morte stessa. Un cattivo che quindi non appariva mai in scena ma si andava a identificare con l'intero mondo intorno ai protagonisti. Il primo film era oggettivamente inquietante, proprio per il senso di pervasività del pericolo. Ogni più piccolo elemento poteva essere quello determinante nel causare la morte dei personaggi, cosa su cui regia e sceneggiatura giocavano spargendo indizi veri e falsi.
un set di regole ben identificabili all'interno delle quali i personaggi potevano giocare. Cose come: (a) la morte da sempre segnali che permettono di capire come tenterà di ucciderti; (b) la morte tenta di ucciderti fin quando un'altra persona non interviene per salvarti; (c) la morte segue una lista temporale di persone da uccidere e si è al sicuro finché non muoiono quelli prima di te; (d) se qualcuno ti salva, "salti" il turno. Tutto questo dava una notevole "leggibilità" alla trama permettendoti di essere sempre partecipe della narrazione.
la costruzione del gruppo di personaggi accomunati dal destino intorno a cui far ruotare le diverse relazioni umane.
Il film funzionava perché andava ad agitare i grandi archetipi dell'umano: la consapevolezza della morte in agguato in ogni angolo, l'incertezza del mondo che ci circonda, la fragilità dell'umano. Il tutto in un contesto in cui l'orribile confinava spesso nel ridicolo di morti sempre più bizzarre. Da questo punto di vista il primo Final Destination si avvicinava a quel confine rimanendo però sempre decisamente sul lato della paura. Anche la morte più bizzarra era vista nella sua luce più sinistra come indizio della malvagità del mondo circostante e dell'inevitabile fine del protagonista.
Visto il successo al botteghino, sono arrivati inevitabilmente i sequel.
Quello decente
Diciamo che allo schema "la morte ha un piano per ucciderci tutti e al massimo potete rimandare la cosa ma non evitarla" non c'era molto da aggiungere fin dall'inizio. Però un franchise che per ogni milione speso te ne produce cinque mica puoi buttarlo via. Jeffrey Reddick torna come co-sceneggiatore supervisionando il lavoro di Glen Morgan, con il preciso incarico di fai esattamente come l'altra volta che è andata benissimo, affiancato a D. R. Ellis alla regia di cui come nota biografica possiamo dire che ha fatto anche Final Destination 4 ed è morto in un albergo mentre stava adattando un hentai giapponese. C'entra qualcosa? No. Ma era per fare del pettegolezzo gratuito.
Dal film precedente si è tecnicamente salvato il protagonista ma Devon Sowa augura tante buone cose a tutti e si chiama fuori. Si riparte quindi con un nuovo gruppo. Kimberly Corman (A. J. Cook che internet mi descrive come impegnata, dal 2005 al 2020, in Criminal Minds... più un sequestro di persona che una serie) sta partendo per le vacanze di primavera con tre amici quando ha la visione di un terribile incidente autostradale. Terrorizzata scende dalla macchina bloccando anche parte della strada e assiste impotente alla morte dei ragazzi partiti con lei quando l'incidente accade davvero. I superstiti iniziano a morire ecc. ecc. A un certo punto compare anche Clear Rivers (Ali Larter di Heroes) che era l'altra protagonista sopravvissuta al film precedente, per spiegare due cose alla nuova generazione e poi morire malissimo. Altro tratto ricorrente è la presenza di un becchino (di cui nessuno sa il nome ma che è interpretato da Tony Todd) che torna nel ruolo di fai quello che forse sa le cose ma non le dice in modo molto inquietante.
Tutto va all'incirca come nel film precedente solo che il tutto inizia a scricchiolare un po', anche se in modo impercettibile. Intanto quel confine fra horror e ridicolo inizia a tendere un bel po' verso il ridicolo. Che nel senso, era parte dello spirito del film prendere in giro le morti assurde del genere, però il primo rimaneva un horror. Questo molto meno e in parte è anche dovuto al fatto che il lavoro sulla caratterizzazione dei singoli personaggi praticamente scompare. Al di là del fatto che sono dei perfetti sconosciuti che non si conoscono perché è gente che si è salvata a caso in autostrada, il film non da mai il tempo né lo spazio necessario a sviluppare dei legami. Cosa che rende il pubblico meno predisposto a empatizzare e quindi meno interessato al loro destino.
La cosa che poteva essere buona del film era lo sviluppo del worldbuilding. In questo film infatti la morte uccide le persone in ordine inverso a quello rispetto a cui dovevano morire nell'incidente. Il tutto viene spiegato facendo scoprire che ognuno dei personaggi del film si è già salvato da morte certa in passato grazie all'intervento di uno dei personaggi del primo Final Destination. Questo aprirebbe in teoria notevoli prospettive, nel senso che permette di legare tutti i sequel in un complicato domino in cui ogni pezzo determina la caduta di altri e così via. Ovviamente era una prospettiva troppo interessante e non verrà MAI più ripresa. Altra cosa interessante era l'accenno del becchino al fatto che "una nuova vita" interromperebbe il piano della morte e la costringerebbe a ripartire da capo. Cosa che viene interpretata in modo estremamente stupido dai personaggi e, come sopra, MAI più ripresa.
Quello in cui si vedono le tette
James Wong torna alla regia per il terzo film in cui alla sceneggiatura è rimasto solo Glen Morgan che qui ha chiaramente preso la tangente e se ne sbatte allegramente dell'intera questione. Mary Elizabeth Winstead, che di lì a pochi anni ritroveremo come Ramona in quel piccolo capolavoro di Scott Pilgrim vs the World, interpreta Wendy Christensen che essendo andata con degli amici a un Luna Park ha questa visione delle montagne russe che implodono ammazzando un sacco di gente. Scappa seguita da alcune persone ecc. ecc. Si torna nell'ambiente liceale in cui i personaggi non hanno però neanche lontanamente la caratterizzazione del primo film. Sono, protagonisti compresi, dei cartonati il cui unico scopo è farsi uccidere nel mondo più assurdo possibile nel corso del film. E il problema è che i modi sono talmente assurdi che perfino i personaggi del film sono costretti a farsi due domande in merito.
Uno dei tratti inquietanti del primo film era che le morti, per quanto strane, erano comunque "spiegabili". Nel senso che i protagonisti si muovevano sempre in questo ambiente ostile in cui solo loro capivano che qualcosa di sovrannaturale stava avvenendo mentre il mondo esterno continuava a procedere come se niente fosse. Il terzo film ha come problema ulteriore il fatto che perfino il mondo esterno inizia a reagire ad una morte che sembra ormai sbattersene (almeno quanto lo sceneggiatore) di rendere "credibili" le uccisioni. La cosa in realtà avrebbe potuto essere interessante se fosse stata affrontata dal punto di vista della lore. Si sarebbe potuto creare un divertente gioco di specchi e una semirottura della quarta parete facendo reagire coerentemente il mondo a questi cambiamenti. Ma no, purtroppo ci si legge soltanto disinteresse per il franchise trattato come prodotto dark-comedy su cui lucrare con lo splatter gratuito. Momento più apprezzato dal pubblico: le due liceali (ovviamente interpretate da attrici maggiorenni) a seno nudo nei lettini abbronzanti. Ultimo punto: il passaggio dalle visioni alle fotografie che, va detto, è stata un'idea abbastanza del cazzo. Al di là della visione iniziale iperdettagliata che da origine alla storia, i protagonisti del franchise hanno sempre delle premonizioni sulle morti successive. Nel primo film questo elemento è importantissimo perché i personaggi riescono effettivamente a sfruttarle per influenzare il corso degli eventi. Già nel secondo questa cosa scompare. Nel terzo le premonizioni vengono passate attraverso fotografie scattate da Wendy al Luna Park che sono talmente vaghe che semplicemente la tensione non esiste. Di fatto sono un altro strumento al servizio del "fan service" splatter. Anticipano al pubblico qualche elemento della morte assurda che sta per avvenire a completo detrimento della storia.
Quello in 3D
Il quarto film della serie è la chiara dimostrazione di cosa succede quando un soggetto che originalmente aveva un senso, viene messo in mano a gente che se ne sbatte ampiamente la minchia ed Eric Bress (che aveva partecipato alla scrittura del 2) ci regala un plot che va a scardinare completamente la struttura narrativa del mondo. Nick O'Bannon è un tizio che va con amici a vedere una gara automobilistica. Ha la visione di un incidente che fa crollare l'intera arena e scappa con i 3 compagni di sventura e altri stronzi capitati lì per caso. Seguono morti randomiche e molto molto stupide, le più stupide del franchise, compreso un tizio a cui viene aspirato il culo da una piscina (sic.).
Le premonizioni delle morti tornano ma la cosa più stupida avviene nel finale. Per la prima volta nel franchise Nick ha una nuova visione completa, come quella di inizio film, di un altro incidente catastrofico, l'incendio in un centro commerciale, in cui dovrebbero morire le due amiche rimaste in vita. Con notevole impegno personale riesce a impedire il disastro.
Questa roba è assolutamente distruttiva non per la trama del film ma per l'intero worldbuilding. In tutti i film della serie la morte funzionava come antagonista perché si comportava come il classico serial killer intelligente. Agiva quando la vittima era isolata, teneva un basso profilo e minimizzava i rischi. Nel terzo film questa identità iniziava a vacillare ma nel quarto la questione dell'incendio fa esplodere il problema. Il punto della storia è sempre stato che la sopravvivenza dei protagonisti era un "errore" nel piano della morte a cui questa metteva una pezza procedendo con eliminazioni singole. Il fatto che la morte delle due ragazze venga infilata in un secondo evento catastrofico ci descrive una morte stupida che, avendo già a che fare con un tizio in grado di avere premonizioni, non si preoccupa di quello che potrebbe succedere nel caso intervenisse nuovamente. Cosa che effettivamente avviene. Di fatto la mancata distruzione del centro commerciale lascia un gigantesco plot hole con la morte che si deve adesso occupare di riscrivere i destini individuali di centinaia di persone sfuggite alla tragedia.
Un disastro talmente enorme che il seguente film del franchise sarà un prequel per non dover avere a che fare con sto casino.
A livello di botteghino il film fu comunque un successo, nonostante sia quello con le votazioni più basse mai registrate.
Il prequel dei serial killer
Siamo infine arrivati al 2011 ed è il momento di far deporre un altro uovo a questa gallina. Per la bisogna vengono chiamati Steven Quale alla regia e Eric Heisserer (Shadow and Bone 2021-2023... strano che mi abbia fatto cagare^^) alla scrittura. Sam Lawton (Nicholas D'Agosto) sta partendo in viaggio di lavoro con l'azienda. Mentre passano su un ponte in manutenzione, questo implode uccidendo centinaia di persone. Sam però vede tutto con una premonizione e riesce a salvare la fidanzata e alcuni colleghi. Tutto procede come al solito con una modifica: se ammazzi qualcuno che non doveva morire la morte ti scambia la durata della vita con quella del tizio che hai ucciso, permettendoti di vivere. Sta roba ovviamente è di una stupidità assoluta. Intanto è notevole che un'entità descritta come malevola e desiderosa solo di punirti perché sei riuscito a sottrarti al suo primo tentativo di ammazzarti, ti permetta però di mercanteggiare interferendo ulteriormente nei suoi piani per i destini altrui. In secondo luogo infrange il canon dei film precedenti, perché nel 4 uno dei personaggi tentava ripetutamente di suicidarsi senza riuscirsi, visto che non era ancora il suo momento. E di fatto se è la morte a decidere quando e perché qualcuno debba morire, il fatto che si uccida una persona a caso come esclude il fatto che sia proprio quello il piano della morte? Infine, vi rendete conto che questa roba apre la porta a un mondo in cui esistono esseri immortali solo per il fatto di continuare a uccidere gente giovanissima per acquisire i loro anni di vita all'infinito.
La scena del ponte che crolla era bella. Il resto faceva cagare.
E questo era l'ultimo film. Per ora. Perché Final Destination VI - Bloodlines è effettivamente in produzione e dovrebbe uscire nel 2025. Le interviste rilasciate dicono che si tratterà di un soft reboot della serie. La speranza è che si tratti di un nuovo avvio nella linea di facciamo finta che 4-5 non siano mai esistiti, la relativa sicurezza è che sia un'operazione commerciale a bassissimo cabotaggio tesa a mungere quel che resta di questa mucca e della nostalgia dei primi anni '2000. Vedremo.
trabucchi che tirano giù le montagne che creano dighe con l'acqua che svanisce e la gente che cammina nel fango
la cavalleria che scompare
le macchine d'assedio che buttano giù le mura tirando dei punteruoli conficcati dentro a martellate
Elrond e Galadriel che si baciano
il topo di matrix
Sauron signore dei Sith
il sole che sorge a nord
Arondir che muore come se ci credesse qualcuno
Tempo fa avevo buttato giù su un foglio la scaletta per una recensione di Rings of Power 2x07 ma l'intera serie mi è sembrata talmente trascurabile che ho lasciato perdere e il foglietto di cui sopra è finito a fare da tappetino sulla scrivania alle mie consuete tazze di tè serali. Stasera l'ho ritrovato tutto spiegazzato e ho deciso di salvarne la memoria qua sopra prima di gettarlo.
Vale, o' foglietto degli appunti. Vale.
(per la cronaca, le cose positive erano la colonna sonora e forse un pezzetto di troll)
Non so se lo sapete ma su Amazon prime è uscita la seconda stagione di Rings of Power. Se lo sapete, non vi è potuta sfuggire la quantità di polemiche sull'argomento. Ora questo post non serve a far polemica, quanto a trattare uno specifico argomento che mi rimane comodo tenere qui, in modo da poterlo linkare alla bisogna. Oggi parliamo quindi degli orchi padri di famiglia pacifisti e di dove cercarli.
Ora, su questa tematica particolare ci sono due fronti contrapposti. Il primo sostiene che gli orchi sono creature dotate di libero arbitrio, che per di più si riproducono come tutti gli altri, e che quindi sia totalmente sensato che alcuni di loro possano avere istinti protettivi nei confronti della famiglia o non siano attratti da guerra e razzie. I secondi che gli orchi siano entità intimamente corrotte da un dio malvagio per desiderare, circa geneticamente, odio, violenza e morte e che quindi sia assolutamente ridicolo trattarli come entità morali grigie suscettibili a ripensamenti e pentimenti.
Abbiamo quindi uno schieramento del "Sì, gli orchi possono tenere alla famiglia" vs un "No, gli orchi sono creature eternamente malvage". Il problema è che entrambi gli schieramenti mancano leggermente il punto e cercheremo di dimostrarlo andando a prendere le parole dell'autore.
Il fronte del No, solitamente estremamente attento al canone, ha trovato un grosso ostacolo nella citazione seguente, che i Sì hanno spammato sull'internet.
Esse sarebbero il maggiore fra i Peccati di Morgoth, abusi del suo più alto privilegio, e sarebbero creature generate dal Peccato, e naturalmente malvagie. (Stavo per scrivere “irrimediabilmente malvagie”, ma mi sarei spinto troppo in là. Perché accettando o tollerando che siano stati fatti, condizione necessaria per la loro esistenza, perfino gli Orchi diventerebbero parte del Mondo, che è di Dio e quindi in definitiva buono.)
Bozza di lettera a Peter Hastings, settembre 1954, J.R.R. Tolkien - Lettere 1914/1973, Bompiani, Firenze 2017, pp. 310.
In realtà ho già inserito una citazione più corposa di quello che di solito si trova sull'internet. In genere i sostenitori del Sì si limitano a evidenziare la parte fra parentesi chiosando con un avete visto che Tolkien dice che gli orchi non sono irrimediabilmente malvagi? Quindi abbiamo ragione noi!
E in parte hanno ragione. Tolkien è uno scrittore intimamente cristiano. Nella prospettiva cristiana il male non è parte della creazione bensì una sua corruzione. Ergo, essendo gli orchi dotati di anima (benché corrotta) devono poter essere passibili di pentimento e quindi di catarsi. Sul fatto che siano corrotti il fronte del Sì evita però di mettere l'accento. E dire che proprio nella lettera che citano vi si fa ampio riferimento:
Riguardo agli altri punti, credo di essere d’accordo sulla “creazione da parte del male”. Ma Lei è più disinvolto con la parola “creazione” di quanto sia io.* Barbalbero non dice che l’Oscuro Signore ha “creato” Troll e Orchi. Dice che li ha “fatti” come pessime copie di alcune creature preesistenti. Secondo me c’è un abisso fra le due affermazioni, tanto che la dichiarazione di Barbalbero potrebbe (nel mio mon- do) anche essere vera. In effetti non lo è riguardo agli Orchi, che fondamentalmente sono una razza di creature “razionali incarnate” benché orribilmente corrotte, anche se non più di molti uomini che girano al giorno d’oggi. [...] La sofferenza e l’esperienza (e forse l'Anello stesso) danno a Frodo più intuito; e Lei leggerà nel cap. I del libro VI le sue parole a Sam. “L'Ombra che li allevò sa solo disfare, non sa fare, creare cose nuove da sola. Non credo che abbia generato gli Orchi; non fece che rovinarli e depravarli.” Nelle leggende dei Giorni Remoti si ipotizza che il Diabolus abbia soggiogato e corrotto alcuni dei primi elfi, prima che essi avessero mai sentito parlare degli “dèi”, men che meno di Dio.
Ivi, pp. 302-303.
In questo brano, vi farei notare un particolare interessante. Quel "anche se non più di molti uomini che girano al giorno d'oggi". Sullo stesso punto si ritorna più avanti nel corpo della lettera. Subito sotto il brano citato dai sostenitori del Sì, si legge infatti:
Ma se esse possano avere “anima” o “spirito” sembra una questione diversa; e poiché nel mio mito non ho contemplato la possibilità di fare anime o spiriti, cose dello stesso ordine anche se non dello stesso potere dei Valar, per “delega”, allora ho rappresentato almeno gli Orchi come esseri reali pre-esistenti, sui quali l’Oscuro Signore abbia esercitato tutto il suo potere per rimodellarli e corromperli, non per crearli. Che Dio possa “tollerare” questo fatto non sembra teologicamente peggiore della calcolata de-umanizzazione degli Uomini da parte dei tiranni alla quale assistiamo oggi.
Ivi, p. 310.
Da questi stralci emergono due elementi importanti. Il primo, che è quello non considerato dal fronte del Sì, è l'insistere in modo forte sulla corruzione degli orchi. Tolkien non può ammettere l'esistenza di anime irredimibili e tuttavia sottolinea più volte come i suoi orchi siano orribilmente deformi nel senso che l'umanità in loro è ridotta a niente. Già questo depone contro la possibilità dell'orco pacifista affezionato alla famiglia.
Tuttavia anche i sostenitori del No mancano leggermente il punto che cercherò di illustrare con i prossimi stralci.
Sembra che la
vita in un campo non sia cambiata per nulla, e ciò che la rende così esasperante è il fatto che tutte le sue caratteristiche
peggiori non sono necessarie, e si devono alla stupidità umana che (come i “pianificatori” rifiutano di vedere) è sempre
ingigantita indefinitamente quando viene “organizzata”. Ma
l'Inghilterra nel 1917-1918 era decisamente povera ed è un
po’ stupido che in una terra di relativa abbondanza tu debba sopportare simili condizioni. E chi paga le tasse vorrebbe
sapere dove finiscono tutti i milioni, se i migliori dei loro
figli devono essere trattati così. Comunque è quasi inevitabile, dato che gli esseri umani sono ciò che sono, e l’unica
cura (a parte una Conversione universale) sarebbe di non
avere guerre, né pianificazione, organizzazione o irreggimentazione. Il corpo in cui presti servizio, naturalmente, come sa chiunque possieda una qualche intelligenza e occhi e orecchie, è pessimo, tira avanti grazie alla reputazione di pochi uomini valorosi e tu probabilmente ti trovi in un angolo messo particolarmente male. Ma tutte le Grandi Cose progettate in grande danno questa sensazione al rospo che finisce sotto l’aratro, anche se in un quadro ‘più generale funzionano e fanno il loro lavoro. Un lavoro in fin dei conti malvagio. Stiamo tentando di sconfiggere Sauron usando l'Anello. E (sembra) ci riusciremo. Ma il prezzo da pagare sarà, come sai, la generazione di nuovi Sauron, e la lenta trasformazione di Uomini ed Elfi in Orchi. Non che nella vita reale le
cose siano così nette come in una storia, e noi avevamo molti Orchi dalla nostra parte fin dall’inizio. [...] Bene, eccoti qui: uno hobbit fra gli Urukhai. Conserva la tua hobbitudine nel cuore, e pensa che tutte le storie sembrano così quando ci sei dentro. Tu sei dentro una storia molto grande!
- Tolkien a Christopher, 6 maggio 1944, J.R.R. Tolkien - Lettere 1914/1973, Bompiani, Firenze 2017, p. 126
Spero che tu abbia presto qualche altra licenza per vedere l'Africa genuina. Lontano dai “servi inferiori di Mordor”.
Sì, penso che gli Orchi siano reali quanto qualsiasi creazione
di un romanzo “realistico”: le tue parole vigorose descrivono bene la tribù; solo che nella vita reale essi si trovano in
entrambe le fazioni, naturalmente. Poiché il “romanzesco” è
nato dalla “allegoria”, e le sue guerre sono ancora derivate
dalla “guerra interiore” dell’allegoria in cui il bene è da una
parte e varie forme di male sono dall'altra. Nella vita reale
(esteriore) gli uomini sono da entrambe le parti: e questo significa una variegata alleanza di orchi, bestie, demoni, semplici uomini naturalmente onesti, e angeli. Ma fa una certa
differenza chi siano i tuoi capitani e se di per sé siano simili a
orchi!
- Tolkien a Christopher, 25 maggio 1944, J.R.R. Tolkien - Lettere 1914/1973, Bompiani, Firenze 2017, p. 133
Quello che c'è da capire della narrazione di Tolkien è che si tratta della forma più pura di epic fantasy contemporaneo. I personaggi del romanzo, tutti, sono funzioni narrative che parlano di temi più grandi. Dire che gli orchi sono geneticamente malvagi dando una giustificazione in lore, è quasi superfluo in quanto sono di per sé una rappresentazione del reale trasportata nella fiction. In questo senso, è abbastanza privo di senso chiedersi se gli orchi possano essere pacifici, amare la famiglia, coltivare altre ambizioni che non siano quelle della razzia e del saccheggio. Semplicemente perché gli orchi esistono in quanto antagonista malvagio. Volendoli trasportare sul piano reale, gli orchi sono, come dice Tolkien nelle lettere, esseri umani rovinati, depravati, de-umanizzati da tiranni che mirano a irreggimentare e deprivare i sottoposti della loro volontà individuale per sottoporli al proprio dominio. Nella realtà - che Tolkien ha vissuto, vi vorrei ricordare che LoTR viene scritto nel pieno della Seconda Guerra Mondiale da un tizio che aveva partecipato alla Prima - gli orchi si trovano in entrambi gli schieramenti. Sono i tedeschi delle SS divenuti macchine assassine nelle mani dei gerarchi nazisti ma anche inglesi privati dalla compassione e dell'umanità dalle durezze della guerra. Il punto però è che nel fantasy epico questa contrapposizione viene sublimata nei campi in lotta. La guerra di elfi e uomini contro gli orchi è la lotta di tutti gli esseri umani che preservano la bontà e la gentilezza dalla violenza e dalla sopraffazione. Da questo punto di vista è inutile chiedersi se gli orchi possano redimersi. Semplicemente perché un orco redento non è più un orco. La rappresentazione della serie di Amazon è sbagliata non perché gli orchi non possano redimersi, è sbagliata perché non capisce che gli orchi esistano in quanto rappresentazione della malvagità umana e che quindi nessun essere vivente che conservi sentimenti di pietà e gentilezza può essere considerato un orco.
Il problema di Rings of Power è che cerca di forzare una narrazione grigia, in cui buoni e cattivi non esistono ma esistono solo esseri umani (alcuni con le orecchie a punta, alcuni molto bassi e alcuni brutti da vedere) con aspirazioni e desideri individuali, in un'opera che è eminentemente epica. Ovvero il cui tono presuppone un Bene e un Male fortemente distinti, in cui le azioni individuali servono semplicemente a definire a quale fronte aderisci. Per questo RoP ha pochissimo a che fare con Tolkien. E raga, e qui mi rivolgo al fronte del Sì, è assolutamente legittimo che questa serie vi piaccia. Ma se non avvertite alcun attrito fra RoP e l'opera di Tolkien, considerate la possibilità non solo di non aver capito Tolkien ma che alla fin fine di Tolkien vi piaccia solo l'estetica. Ci può stare eh.
Anatomia di una caduta, film del 2023, vincitore della Palma d'Oro a Cannes. Non avrei voglia di parlarne ma mi sto annoiando e ho bisogno di distrarmi. E quello che uso per distrarmi di solito oggi mi annoia, quindi proviamo a scrivere sta cosa.
Che poi si è lanciato, mica è caduto (ndr.)
Siamo in periodo di cinema estivo e il Ministero dell'Interno ha destinato ampi fondi ai cinema nazionali per permettergli di mandare in sala film a 3 euro e 50. In più nel mio paese hanno riaperto il cinema storico che dal covid è sempre rimasto semifermo, quindi quale momento migliore per recuperare un filmone che tutti dicevano fosse bello però che palle il festival di Cannes fanno solo roba noiosa?
Solo che poi il biglietto me lo hanno fatto pagare pieno a 8 euro. Quindi sostegno ministeriale stocazzo.
Eh ma così contribuisci al mantenimento dell'arte.
OK
Trama: Sandra e Samuel vivono in una baita di montagna col figlio ipovedente di nome Daniel e il cane guida. Sandra è una scrittrice di successo. Samuel sarebbe un bravissimo insegnante ma vorrebbe fare lo scrittore anche lui, solo che non ci riesce. Un giorno il figlio esce di casa col cane e quando torna trova il corpo del padre sanguinante apparentemente caduto dal terzo piano. Per una serie di indizi strani, rapporti poco chiari e testimonianze rilasciate a cazzo (cosa che conferma che non si deve MAI dire niente in assenza dell'avvocato), la polizia inizia a farsi delle domande e parte un processo. Sarà caduto? Si sarà suicidato? La moglie l'ha spinto? Boh.
Trama con spoiler
«Insomma Massimo, vuoi deciderti o no a fornirci il tuo alibi per la sera del delitto?»
«Io non ho mai alibi. Ma faccio notare che chi non ha un alibi è innocente, vero commissario? Un vero assassino si prepara sempre un alibi»
«Quand'è così sono innocente anch'io, aah!»
«Troppo facile! Anna Carla, commissario, ha mezzo alibi. È stata al cinema, ma nessuno l'ha vista. Tutti gli assassini vanno sempre al cinema la sera del delitto»
Siccome Comencini ha quasi sempre ragione è facilissimo capire che Samuel si sia suicidato e che Sandra sia innocente. Non solo non ha un alibi, ma fornisce le ragioni che secondo lei hanno portato al suicidio solo in un secondo tempo e talmente male che sembra se le sia inventate in quel momento. Tutto il film è quindi una profondissima analisi psicologica del contesto familiare, dei rapporti fra marito e moglie, delle illusioni e delusioni di Samuel, dei sensi di colpa nei confronti del figlio, tutto diretto a convincere il giudice di quello di cui noialtri che guardiamo il film ci siamo convinti al minuto 10: che Sandra forse non è la persona più simpatica sulla faccia della terra ma che essere inglese non corrisponda anche a essere colpevole. È pure vero che il giudice è francese. Capisco che per loro essere inglesi costituisca un reato.
Commento: il film è oggettivamente un po' lungo e la parte finale forse un po' strascicata. Inoltre, come dire, sembra che la sceneggiatura sia stata scritta da qualcuno veramente ma veramente deciso a far passare come cretini e persecutori senza cuore gran parte dei componenti della giustizia francese. Il tutto ignorando come difficilmente nella vita vera potrebbe essere portato avanti in modo così spietato un processo per omicidio in cui: a) non si trovi l'arma del delitto; b) non si abbia una ricostruzione convincente di come possa essere stato messo in atto; c) la vittima fosse evidentemente in crisi e sotto psicofarmaci perlopiù interrotti prima della morte. Insomma, sembra scritto da uno di quelli che ma vedi che forse Rosa e Olindo hanno ragione eh. Detto questo e passando sopra a qualche esagerazione, il film è ottimo dal punto di vista dell'introspezione sui personaggi. Quando finisce siamo di fronte a dei quadri di personalità ottimamente illustrati e dettagliati. Si ha l'impressione di conoscere queste persone e di capire cosa le muova fin nell'intimo. In questo è senso è scritto benissimo e l'intero processo diventa una enorme ricostruzione di rapporti interpersonali in cui l'esito finale e in fondo poco importante. C'è anche una fugace riflessione sul meccanismo della comunicazione pubblica della cronaca nera e di come la narrativa di una storia possa influenzare l'andamento processuale. Il per il pubblico è molto più interessante la storia di una scrittrice che ammazza il marito piuttosto che quella di un insegnante depresso che si getta dal terzo piano è cosa sicuramente vera ma che rimane abbastanza ai margini della narrazione.
Voto: 8 e mezzo. Potrebbe annoiarvi. Se non vi annoia vi conquista.