giovedì 18 aprile 2024

Streaming, pirateria e capire cosa si sta comprando

Quello della pirateria è un argomento carsico che riemerge ogni volta che una grande compagnia di streaming effettua un cambiamento importante a uno dei suoi programmi di abbonamento. In questi giorni è successo con Amazon, che ha introdotto la simpatica opzione "se non vuoi la pubblicità dacci 1 euro e 99 al mese". La delicatezza con cui ha introdotto questa cosa - che, nel senso, in genere quando fai un cambio di servizio lo dovresti fare al rinnovo, in modo che quando l'utente spende dei soldi sa di preciso cosa sta comprando e non all'improvviso per tutti a caso ma vabbè -, che poteva tranquillamente essere sottotitolata dal Marchese del Grillo (si fa così, perché io so io e voi non siete un cazzo), ha stranamente fatto incazzare della gente. Più per i modi che per l'effettivo impatto sulla visione. Anche se leggo di gente che si è ritrovata tre pubblicità all'interno di un episodio di 40 minuti di fallout e si è abbastanza rotta i coglioni.
Da qui il classico dibattito che vede contrapposti i due fronti, entrambi abbastanza stupidi a dire il vero, "ma io non pago, viva OnePiece" e "pezzenti di merda siete dei ladri viva il capitalismo".

Ho un paio di cose da dire a entrambi ma siccome non ho più l'età e il tempo per litigare con tutta l'internet, penso che le scriverò qui dove non le legge nessuno. E siamo a postissimo.

I "wannabe re dei pirati": in realtà qui ce la sbrighiamo abbastanza facilmente. Nel senso che, raga, vi assicuro che non siete Che Guevara. Nessuno di voi sta combattendo nella giungla boliviana. Non siete Billy the Kid e non vi aggirate nel Far West conducendo un'epica lotta contro la cavalleria nordista. Non vi si incula nessuno. Ed è abbastanza il punto del discorso. Se decidete di non pagare qualcosa e di cercarvela sul web, nessuno vi verrà a rompere il cazzo. Potete scaricarvi interi archivi di roba. È illegale ma nessuno vi può fermare. A dirla tutta nessuno è neanche troppo interessato a fermarvi. Quindi, nel senso, fatelo. Di cosa vi state vantando di preciso quando scrivete ovunque che piraterete tutto? Chi state minacciando?
Siete abbastanza imbarazzanti, lasciatevelo dire. E lo siete ancora di più perché la metà di voi ha pure difficoltà a trovare la roba su google. Che poi è uno dei motivi per cui vi sentite tanto minacciati dai rialzi dei prezzi di netflix.
Seriamente, se volete scaricarvi le robe, fatelo e state zitti. Ci fate più bella figura.

I "ma il capitalismo è bello pagate pezzenti"
Qui invece il tema si fa più complesso perché veramente ci sono grossi problemi di comprensione del problema. La facciamo subito più semplice. Diamo già per assodato che la pirateria sia di per sé un furto. Lasciamo da parte tutto il discorso relativo al quanto sia effettivamente rubabile un oggetto infinitamente replicabile con mezzi propri, indistinguibile dall'originale, permanentemente accessibile. Saltiamo a pié pari l'intero dibattito e diamo per certe le conclusioni: vedersi una serie in streaming è un furto, è illegale ed è anche eticamente sbagliato.
Ora, quello che apparentemente i sostenitori di Amazon prime non sembrano capire, è che nessun sistema morale può esistere nel vuoto. Nel senso che per essere applicabile, ogni legge morale ha bisogno di essere sostenuta da un sistema di rinforzi emotivi positivi o negativi, basati in primo luogo sull'empatia. Esempio classico: vedi Tizio menare Caio. Vedi che Caio soffre delle botte e i tuoi neuroni specchio ti trasmettono una sensazione negativa. Ne deduci che menare gli altri è sbagliato (anche perché non vorresti mai che qualcuno meni te) e quindi semmai intervieni in sua difesa.
Fra gli animali, quella umana è fra l'altro una specie con una buona capacità di astrazione e concettualizzazione. Quindi, poniamo che sia in macchina, stia cercando parcheggio e veda un posto vuoto destinato ai disabili. Ovviamente non ci sarà sempre un tizio in carrozzina in quel punto per ricordare ai miei neuroni specchio quanto sia brutto non poter camminare. Il mio cervello sarà in grado di mettere sui piatti della bilancia il mio interesse personale (parcheggiare più comodamente) e il disagio arrecato a una persona che abbia bisogno di quel posto e creerà un differenziale emotivo che mi spingerà a rinunciare alla mia utilità diretta in favore di una più generale utilità collettiva. In altre parole, il nostro essere animali sociali ci spinge a integrarci positivamente nell'ambiente che ci circonda e quindi ci fa sentire male quando infliggiamo sofferenza a un componente del gruppo che riconosciamo come nostro anche quando è soltanto ipotetico e potenziale.
Poi ci sono i rinforzi negativi. Prendiamo ad esempio il caso in cui, la persona che cerca parcheggio di cui sopra, debba scaricare 8 casse di acqua minerale e l'unico posto libero sia a un km di distanza. Il grado di disagio che è disposto a subire per non arrecare danno a un'altra persona ipotetica potrebbe non essere abbastanza elevato da fargli rinunciare al parcheggio. Ecco quindi che interviene la sanzione. Ovvero il rischio di essere multato che incrementa la carica emotiva negativa contraria all'occupazione del posto indebito. Non sempre funziona ma certamente ci si prova.

Adesso trasliamo l'intero discorso sul problema pirateria. Iniziamo a dire che a livello di rinforzi positivi non siamo messi benissimo. Occorre un enorme livello di astrazione per arrivare a provare empatia per Amazon. Poi certo, astrattamente, se ci identifichiamo col singolo dipendente, possiamo arrivare a capire il danno che infliggiamo guardando una se.. nah, in realtà no. Raga, seriamente, se pensate a Amazon la prima cosa che vi viene in mente è in genere Bezos che fa Zio Paperone tuffandosi su mucchi di contante. Un certo grado di empatia si può sviluppare al massimo per il servizio consegne, anche perché vi arrivano a casa dei poveri stronzi a portarvi roba inutile mentre fuori ci sono le tormente di neve, ma difficilmente vi sembrerà di infliggere effettivamente un danno a qualcuno guardandovi s10ep8 di Grey's Anatomy. Anche perché non è esattamente facile comprendere quello che a un'osservazione immediata sembra un crimine senza vittime. In genere chi non ha Amazon prime, sicuramente non spenderebbe 50 euro per guardarsi l'episodio 8 stagione 10 di cui sopra. Quindi le possibilità sono che lui non si guardi l'episodio e Amazon non incassi o che lui si guardi l'episodio e Amazon non incassi ugualmente. Di fronte al dato oggettivo che Amazon sarà comunque infelice, perché essere infelici in due?
Certo, siamo d'accordo che a livello etico il ragionamento non torna. Vi sto semplicemente facendo notare che non esiste nessun rinforzo positivo al comportarsi bene. Siete di fronte a un'entità astratta che subisce un danno astratto da una vostra astratta mancata azione (la possibilità che li paghiate) che comunque non avverrebbe lo stesso. Non vi sentite meglio a non piratare quell'episodio, vi sentite coglioni.
Invece parlando di rinforzi negativi... neppure in Cina riescono a tenere sotto controllo la pirateria. E lì ti fanno sparire nelle segrete medievali, altro che polizia postale. Le sanzioni semplicemente non esistono. Ergo non c'è nessun rinforzo negativo.

Questo se parliamo di etica e morale. Adesso parliamo di leggi di mercato. Il punto fondamentale del mercato è che il valore di una merce dipende dalla sua abbondanza o scarsità. Quindi chiedetevi, cosa vi sta effettivamente vendendo (prendiamo un altro per non parlare sempre di Amazon) Netflix al costo di 14 euro al mese? Vi sta vendendo un film che potete trovare ovunque a costo zero senza praticamente alcuna ripercussione emotiva di tipo positivo o negativo? Suona un po' strano, no? Di fatto, se parliamo di valore della merce in base alla sua abbondanza, qualunque prodotto piratabile dovrebbe valere circa nulla, visto che è infinitamente replicabile e raggiungibile da chiunque a costo zero.
La verità è che la merce che vi stanno vendendo è la comodità. Il motivo principale per cui i servizi di streaming sono esplosi è che rendevano facile e comodo l'accesso ai prodotti di intrattenimento. Quello che si paga non è la visione del prodotto in quanto tale ma la sua reperibilità, accessibilità e facilità di fruizione. La realtà, è che pagate Netflix più per il fatto di non dovervi alzare dal divano ogni volta che finisce un episodio, che per il prodotto di cui state fruendo. La pagate per il fatto che vi proponga cose su un bel display comprensibile e vi tolga la fatica della scelta. La pagate per non dover chiudere 6 volte una tab pubblicitaria ad ogni inizio di episodio.
Si paga la comodità, non il prodotto. Il prodotto potete averlo ovunque gratis. Il vero rinforzo positivo a scegliere Netflix al posto di sitoytrovatosugoogle è la piacevolezza di usufruire di un servizio comodo e veloce.

Ecco il punto che i difensori di Amazon non capiscono. Inserire le pubblicità, prima o durante l'episodio della nuova serie, è semplicemente stupido. Non per un problema di soldi ma di comodità. Ogni volta che la comodità con cui si fruisce di quei prodotti diminuisce, la tentazione di ottenere lo stesso prodotto in altro modo aumenta. La realtà è che avrebbero ottenuto un risultato migliore a livello comunicativo aumentando il costo di prime da 50 a 70 euro l'anno, senza rompere il cazzo a nessuno con la pubblicità.
E raga, quando vi vedo scrivere alla gente ma è come rubare un paio di scarpe!!! mi sembrate tanto


Era già imbarazzante da vedere nel 2000. Figuratevi nel 2024.
Non so se mi sono spiegato.

domenica 7 aprile 2024

Gente Arcana

Non ricordo più l'ultima recensione di una serie fantasy. Non che abbia abbandonato il genere, ma fino ad oggi non avevo ancora letto niente che contenesse quel giusto mix di piacevolezza e disappunto che di solito mi far venir voglia di scrivere. Dato che ne voglio parlare in modo pieno di spoiler vi anticipo il giudizio: 6,5 
Onestissimo fantasy entry level per un pubblico adolescente. Si fa leggere. Stiamo parlando di Istorie Arcane di Cecilia Randall.

Bella Venezia ma non ci abiterei (ndr.)
Volevo fare il liutaio ma sono nato arcimago (ndr.)






















venerdì 23 febbraio 2024

Realismo letterario

Un po' di tempo fa ho scritto riguardo al gruppo di lettura che sto frequentando. Ne sono tutto sommato soddisfatto perché mi aiuta ad uscire un po' dalla comfort zone dei miei generi preferiti (fantasy, fantascienza e storico). Su questo filone, ultimamente ho letto tre libri che in qualche modo ho visto legati da un unico filo conduttore e questi sono i miei appunti in merito.

1) John Fante - La Confraternita dell'uva

Ho notato adesso la prefazione di Capossela
Ambientato negli USA, parla dei difficili rapporti fra un figlio scrittore e un padre scalpellino, all'interno della comunità italoamericana. L'ho abbastanza divorato. Nel senso che me lo sono portato dietro per un corso di formazione in una città vicina e me lo sono letto praticamente letto per intero durante l'andata e ritono in treno. A farmelo piacere di più è stato il grezzo materialismo. Gli ambienti, le persone, i paesaggi, gli oggetti, il cibo, sono tutti descritti nel modo più materico possibile. Quando Fante descrive la pietra ti sembra di poterci appoggiare le mani, quando racconta dei piatti serviti sulla tavola ti sembra di poterli assaporare. La letteratura americana di suo ha punte di estrema concretezza che qui vengono particolarmente esaltate. Poi certo, ci sono altri passaggi che ho apprezzato. L'introspezione psicologica, in cui evidentemente l'autore mette note biografiche, è molto accurata e se avete avuto un rapporto in qualche modo conflittuale con vostro padre (esistono maschi che non lo hanno avuto?) vi ci potreste senza dubbio ritrovare. Però no, questo libro mi rimarrà in mente per la descrizione del banchetto finale con le api. A livello di scrittura è stupendo.

2) John Steinbeck - Uomini e topi

Un'efficace brevità
Parlando di lacune culturali, Steinbeck è sicuramente una. Non mi sono addentrato molto nella letteratura americana e almeno questo libro l'ho recuperato col gruppo di lettura. Commento: finita la lettura, l'ho messo da parte non insoddisfatto ma abbastanza tiepido. La storia era passata via veloce in modo molto piano. Trama semplicissima, praticamente telefonata. L'autore vi mette davanti una serie di elementi che, uno dopo l'altro, riappaiono e tornano importanti nello stesso ordine in cui erano comparsi la prima volta. Quando il destino di Lennie si realizza, non siete stupiti. Non c'è nessun colpo di scena: è la realizzazione di un percorso che avevate visto fin dall'inizio.
Quindi ero tiepido. Poi ci ho ripensato e soprattutto ho riflettuto su come mi ero sentito durante la lettura. In 130 pagine scarse, Steinbeck crea questo meccanismo perfetto in cui siete perfettamente consci che:
- i protagonisti sono dei completi disgraziati, dei casi persi che nel migliore dei mondi possibili al massimo riusciranno a sopravvivere;
- il mondo che li circonda è ostile, brutale e tutto andrà a finire in lacrime;
- hanno delle speranze e dei sogni quasi tangibili e sarebbe veramente bellissimo se potessero realizzarli.
Tutto questo insieme. Si osservano le speranze dei personaggi, desiderando come loro che si avverino, consapevoli che non succederà. Il tradimento del sogno americano messo su carta. Bellissimo.
Ps. ho letto la traduzione di Pavese. Sono abbastanza sicuro che la Bompiani ne abbia rilasciate altre sostenendo che quella di Pavese fosse troppo influenzata dal suo modo di scrivere e che nei tempi moderni ecc. Ma abbiamo avuto abbastanza forestali per il momento. Almeno Pavese sapeva scrivere.

3) Jean-Claude Izzo - Casino totale

Sorseggiare pastis in un bar di Marsiglia
"No ma ho cominciato a leggere quel libro di Izzo che mi avete dato. Ma lo sai che è carino?"
Comunque l'autore è morto.
Grazie mamma.

Comunque, Izzo sapeva scrivere. Rip. Di per sé il libro ha un sacco di difetti. L'intreccio è, intanto, un enorme casino. Poi un po' sono io che prima di leggere un giallo preferirei farmi sparare in un ginocchio, però oggettivamente la trama è tenuta assieme con tanto nastro adesivo e buone intenzioni e la soluzione dei problemi arriva con espedienti abbastanza ridicoli. Detto questo, per il resto è scritto da paura e si inserisce benissimo in questo percorso di verismo per quanto riguarda la descrizione degli ambienti. Marsiglia, la città, viene raccontata con amore, consapevolezza e poesia. Le strade, le persone, anche qui: il cibo, vengono raccontati in modo vivido e commuovente. A metà volume ho guardato quanto ci vuole ad andare in macchina a Marsiglia per capire quanti giorni devo prendermi per andare a bere un pastis in un bar sul mare. Poi ho letto su internet che il pastis è a base di anice. Porca puttana, odio l'anice.
Comunque, veramente un bel libro. Voglio andare a cena da Fabio Montale. Peccato non esista. 



domenica 11 febbraio 2024

Il voto popolare

Probabilmente farò il solito ascolto/classifica di Sanremo perché ormai è tradizione, però volevo partecipare al dibattito nazionale su Angelina Mango che scippa il titolo a quello che piaceva al popolo. E lo farò facendovi notare un piccolo dettaglio che non so perché sembra sfuggire ai più:

Classifica Sanremo 1982

Classifica Sanremo 1983

Raga, le canzoni estremamente popolari non hanno MAI vinto a Sanremo. Mai. La differenza è che adesso arrivano seconde mentre nel 1982-83 si classificavano regolarmente ultime per poi rimanere prime nelle classifiche di ascolto per sei mesi.
Non ho idea se Geodier si meritasse o no di vincere, né se lo meritasse la figlia di Mango. Ma il punto è: chissenefrega di chi vince Sanremo? Quando mai è stato importante?
Eddai su.


domenica 28 gennaio 2024

Un film stupendo che non so se mi è piaciuto

Premessa: ciao, sono sempre quello che non capisce un cazzo del bel cinema d'autore e quindi scriverò solo delle impressioni personali totalmente prive di qualunque background professionale. Come si fa sui blog personali, tipo. Quindi, parliamo di Povere creature di Lanthimos e facciamolo per punti, come al solito.

Quei... cazzo... di... violini... (ndr.)

Trama: Godwin Baxter (Willem Dafoe) è un geniale chirurgo che, trovando nel fiume il corpo di una donna incinta in fin di vita, fa quello che ogni medico sottoposto al giuramento di Ippocrate farebbe: espianta il cervello del nascituro e lo reimpianta nel corpo della donna per poi rianimarla. Dopotutto se si era suicidata del corpo non ne aveva bisogno no? Tutto estremamente etico.
La bambina (Bella) cresce viziata nel corpo di un'adulta in una gabbia dorata fino a quando non scopre il sesso e decide di viaggiare per il mondo per provare tutto quello che gli può offrire. Praticamente la storia del mostro di Frankeinstein, se il mostro fosse stato Emma Stone nel remake di Nymphomaniac ma coi soldi e una fotografia da paura.

Cosa mi è piaciuto
  • fotografia, regia e costumi sono da 9,5/10. Visivamente è un'esperienza stupenda e i panorami sono tanto belli quanto surreali. Bellissimo anche il modo in cui viene resa l'evoluzione dal bianco e nero ai colori. Il mezzo punto che manca per arrivare al 10 è dovuto ad alcune scelte registiche che, nel senso, raga, bellissima l'inquadratura di un minuto e mezzo sui piedi della Stone che scopre la masturbazione però tipo, capisco il feticismo, ma anche meno?
  • grandissime le prove attoriali. Emma Stone è fantastica per tutto il film. Seguono da vicino Defoe e Ruffalo (forse in alcuni punti leggermente esagerato ma ci sta);
  • tutto il percorso di sviluppo fisico della protagonista (movimento + linguaggio) è reso in modo accurato;
  • il tono da dark comedy del film, dopo un inizio un po' straniante, è molto piacevole. Sebbene non sia esattamente necessario piegarsi in due dal ridere sul pollo-maiale e, ve lo si dice con affetto, se lo fate avete seriamente dei problemi, ci sono dei momenti comunque abbastanza divertenti. Da questo punto di vista il film non annoia mai.
Cosa non mi è piaciuto:
  • il film è abbastanza lungo. Troppo lungo. Specialmente considerando che non è che abbia da presentare chissà quali incredibili tematiche. La scoperta della sessualità e la ribellione contro il controllo maschile sul corpo delle donne vengono affrontati largamente nella prima ora. A quel punto personalmente ero già sul ok, ho capito, tutto chiaro, possiamo andare avanti adesso? E invece no. Ci insistiamo anche per l'ora e mezza successiva. Per me il film avrebbe potuto concludersi serenamente alla scena del matrimonio. La mezz'ora seguente è abbastanza inutile.
  • a questo proposito, diosanto il finale. Posso dire che lobotomizzazione, installazione di cervello caprino e riduzione dell'ex marito ad animale da giardino mi sembrano un tantino too much? Specie in un film in cui si celebra l'empatia e la libertà personale. Nel senso, ho capito che era uno stronzo assassino. E voglio dire, faccio il DM su D&D. Parte del mio lavoro è creare cattivi abbastanza cattivi da poter essere ammazzati a cuor leggero dai miei giocatori. Ma se i miei giocatori mi dicessero all'improvviso questo però non lo ammazziamo, lo priviamo della volontà e ce lo trasciniamo al guinzaglio per il resto della campagna ridendogli in faccia ogni tanto for fun minimo minimo inizierei a sentirmi a disagio giocando con loro e gli farei cambiare l'allineamento in Neutrali malvagi. Raga, ci sono dei limiti. Sparate un colpo in testa a quel povero stronzo e facciamola finita. E fra l'altro, cazzo vi aveva fatto di male la capra per prendergli il cervello e trapiantarla in un corpo in cui è condannata a morire di fame, visto che non può digerire l'erba?
  • infine, secondo me, l'evoluzione psicologica della protagonista non è resa altrettanto bene rispetto alle capacità fisiche e mentali. Nel senso che questo film si distacca profondamente dalla storia del mostro di Frankeinstein (e anche dalle sue varianti parodistiche, per info citofonare a Mel Brooks), in quanto la personalità del mostro veniva sempre profondamente impattata e deformata dal contatto con il mondo e con la società esterna. Quella storia era una critica sociale perché faceva vedere come un essere originariamente puro, veniva reso malvagio dal contatto con l'ingiustizia e i pregiudizi. Qui... io non sono in realtà riuscito a vedere nessun impatto su Bella. Il personaggio attraversa una serie lunghissima di esperienze senza però esserne apparentemente toccato. Tutto viene esaminato, catalogato, sezionato e messo da parte accrescendo la conoscenza di Bella ma, di fatto, quale impronta psicologica lascia sul suo carattere? A occhio nessuno. Ogni esperienza, positiva o negativa, è catalogata come "interessante" e si prosegue così. Voglio dire, a un certo punto dona tutti i soldi di Ruffalo ai poveri. Solo che non arrivano ai poveri. Vengono rubati da due marinai che la truffano platealmente. Possibile che questo non provochi in lei nessuna reazione? No, lo stronzo è l'amico Harry che non crede nel prossimo. Solo che a lui non hanno rubato i soldi. Io capisco che magari a Lanthimos questo aspetto non interessava e/o che comunque il peculiare sviluppo cerebrale di Bella la renda "speciale" e quindi non valgano per lei le regole che varrebbero per qualunque altro essere umano che si ritrovasse ad affrontare gli stessi avvenimenti. Però questo ma la fa sentire anche come molto meno interessante. Mi disp.
Parentesi su quest'ultimo punto. In questo senso, il film mi sembra definitivamente post romantico. Specialmente sul finale, sembra emergere questo modello di questo nuovo essere umano, apparentemente senza debolezze e da un certo punto di vista perfetto, in quanto non influenzabile dall'esterno, la cui unica funzione è celebrare la libertà di provare tutto, fare tutto, essere tutto, senza limiti esterni, avvertiti tutti a prescindere come negativi. Basta vedere come le proibizioni del padre a inizio film vengano, praticamente senza alcuna problematizzazione, catalogate come volontà di controllo e repressione. Ora, non vorrei qui iscrivermi alla categoria del patriarcato, ma se hai una tizia che cammina barcollando, che parla in modo stentato, che non conosce niente del mondo perché a livello intellettivo ha letteralmente 5 anni se va bene, magari non la lasci vagare per la città a caso. E non perché vuoi controllarla ma perché vuoi che non affronti situazioni pericolose prima che sia in grado di controllarle. Da questo punto di vista però il mondo è totalmente asettico. A Bella non succede mai niente di male. Nessuno cerca di approfittarsi di lei. Perfino l'esperienza al bordello parigino è sempre totalmente consensuale e con vasti livelli di gentilezza. E voglio dire, capisco che siamo nel mondo in cui giustamente eh alcuni tipi di sex workers sono sdoganati, però si affronta la questione in modo un tantino riduttivo rispetto all'enorme flagello della prostituzione illegale che affligge il mondo occidentale (ultimo rimasuglio della tratta degli schiavi).
E per finire sul post romanticismo, probabilmente sono io all'antica, ma non so quanto mi piaccia questa coppia moderna di superuomini/donne, impegnati a esplorare l'esistente, che si tengono compagnia in questo viaggio individuale fatto di esperienze. Non so, credo di essere affezionato all'idea che siamo tutto sommato esseri fragili e che cerchiamo nell'altro un complemento emotivo per affrontare la vita e quindi tutte quelle baggianate sulla mezza mela e via dicendo. Ma io sono un boomer.
Quindi boh. Su tante cose mi sembra che il film sia un tantino superficiale. Poi sicuramente sono io che non capisco un cazzo. Ci sta.

Cose che meh
  • La colonna sonora è bellissima. Però alla quattordicesima volta che senti lo stesso accordo di archi e pianoforte sparato a tutto volume ti rompi un po' il cazzo.
  • Posso dire che "Emma Stone che fa la pazza" sia tipo la cosa meno erotica nell'emisfero occidentale senza perdere la tessera di maschio etero bianco base cis? Nel senso, trovo vagamente disturbante che il film sia pieno di gente che non veda l'ora di accoppiarsi con una tizia, evidentemente, mentalmente disabile ma immagino sia voluto, quindi ok.
Giudizio finale: l'ho scritto nel titolo. Il film è bellissimo, 10. Però in realtà non mi è piaciuto, 4
Media ponderata: 7

mercoledì 10 gennaio 2024

Un airone veramente brutto

Questo post è in parte una richiesta di aiuto. Cercasi gente che mi spieghi perché questo film è un incredibile capolavoro. Perché quando l'intero mondo dell'internet e la commissione dei golden globe lo sostengono, inizi a sentirti leggermente sbagliato tu, se invece ti ha fatto un po' cagare. Ma parliamo di...

L'ultimo capolavoro di Miyazaki ecc. ecc. (ndr.)
Andrò in ordine assolutamente sparso perché dopo giorni ancora non ho sistematizzato il mio pensiero riguardo al film. Preciso che tutto quello che dirò viene da un tizio che di Myazaki si è visto Il castello errante di Howl quindic'anni fa e non si ricorda un cazzo. Quindi no, non ho un dottorato di critica dei suoi lavori mi disp. Sono tutte opinioni personali dello spettatore ignorante.

1) La tecnica - ok, io capisco fare animazione vecchio stile. Non ho niente in contrario. Mi piace il 2d artigianale, giuro. Però il film supera dei limiti che per me non andrebbero superati. I personaggi sono sempre, costantemente, consistentemente staccati dallo sfondo. È come vedere per due ore dei cartonati che si muovono dentro a dei quadri fissi. Cosa aggravata dal fatto che ci sono pochissimi movimenti di camera (predominano sempre le inquadrature fisse) e che spesso e volentieri sfondi e personaggi sono disegnati in stile diverso. Questa è sinceramente la cosa che mi ha dato più fastidio. Intendiamoci, quegli sfondi sono stupendi. Sono delle pitture portate su schermo. Il problema è che se volessi vedere dei quadri non andrei al cinema, andrei in un museo. La mia capacità di immergersi nella storia è permanentemente ostacolata dal fatto che lo stile dei personaggi fa a pugni con quello degli sfondi, dandomi l'impressione di star guardando uno spettacolo di marionette invece di un film di animazione.
Ovviamente capisco che è una cosa voluta e ricercata. Capisco anche che possa piacere. A me no. Mi fa cagare, sorry.

2) La trama - il film è la storia di Mahito che ha perso la madre in un terribile incendio e, agli inizi dell'adolescenza, cerca di venire a patti con la sua scomparsa (il lutto è una cosa brutta) e col fatto che il padre si è risposato tranquillamente con sua zia mettendola subito incinta (minchia, per la serie: mettiamoci sopra il carico da 11 eh, vogliamo pure gambizzarlo sto bambino, già che ci siamo?). Il tutto nel mezzo della seconda guerra mondiale, in un ambiente rurale in cui si capisce che il padre industriale è l'equivalente del signorotto locale per i servi della gleba i figli dei contadini giapponesi.
Ci sarebbe un bel po' di roba di cui parlare anche così e, vi dirò, a me andava assolutamente bene che continuasse in quel modo. La storia inizia in modo totalmente realistico seguendo Mahito che si autoinfligge una ferita alla testa per non tornare nel mondo che, evidentemente, rifiuta dopo la morte della madre e il trasferimento a casa della zia. A questo punto però arriva l'airone e va tutto a fare in culo.
Quelli che mi conoscono sanno che non ho nessun problema col fantasy. Adoro il fantasy. Però fantasy non significa mi faccio un trip di acidi e quando mi riprendo metto in un film tutto quello che mi ricordo a caso con ogni tanto due frasi di raccordo suggerite dall'editor di sceneggiatura che siccome sono Miyazaki non può dirmi direttamente quanto stia facendo acqua la trama. La struttura del racconto è assolutamente confusionaria, i personaggi interagiscono in modi assurdi e soprattutto non si capisce mai dove cazzo stia andando la storia. È Alice nel paese delle meraviglie, ma fatto in Giappone e 18 volte meno interessante. Sorry pt.2

3) La morale - oh l'ho capita eh. Non è che non si capisce. Mahito ha l'opportunità di fare come suo zio e rifugiarsi in un mondo fantastico costruito solo secondo il suo gusto (e quindi un mondo in cui ad esempio la madre è viva e lancia palle di fuoco) ma rifiuta perché capisce che la felicità si può trovare soltanto accettando il dolore della perdita e cercando di farsi dei veri amici. Bravissimo Mahito. Però raga, nel senso, non è che sia un messaggio di incredibile e stupefacente novità eh. Sta roba la faceva già Evangelion a metà anni '90. E parliamo dell'animazione giapponese, perché se andiamo a pescare nella letteratura non finiamo più. Si può dire che è un messaggio un tantino banale? E quando fai passare messaggi un tantino banali, quantomeno la forma deve essere interessante. E la forma è talmente abborracciata e confusionaria che personalmente mi fa perdere anche il filo del discorso.
Devo dire che cosa ho pensato davvero in modo assolutamente unpolitically correct? Ho pensato che Miyazaki è vecchio. E come tutti i vecchi se ne esce con riflessioni incredibilmente banali che però, essendo vecchio, gli sembrano pregne di significato perché è vicino alla morte e quindi sono le ultime.

Mi spiace. Seriamente, mi spiace. Ma sto film non mi sembra un capolavoro. Mi sembra un nonno che voglia spacciare delle banalità come perle di saggezza ai nipoti. E siccome il nonno si chiama Miyazaki gli hanno fatto fare un film in proposito perché semplicemente a Miyazaki non puoi dirgli di no e di prendere le medicine.

Oh, non fraintendetemi eh. Visivamente è stupendo. Per chi vuole solo un'esperienza visiva è 10/10, andate a vederlo.

Per me prende la sufficienza. Scarsa. 6-

domenica 17 dicembre 2023

Castlevania Nocturne: tutto quello che non mi è piaciuto

Disclaimer: non è un post per dire che mi ha fatto schifo. Semplicemente avevo adorato la prima serie (anche le stagioni che alla massa non erano piaciute) e avevo grandi aspettative per questo ritorno. Invece mi sono trovato in molti punti a storcere il naso e ad annoiarmi. Non è una brutta serie ma ci tenevo a mettere tutti i puntini sulle i.

Salvata in calcio d'angolo... (ndr.)

1) Richter e i suoi scontati traumi infantili. Ho trovato l'intera backstory del personaggio banale al limite del ridicolo con l'unico evidente vantaggio di essere corta (dopo torniamo su questa cosa). Nell'istante stesso in cui la madre gli dice "corri al porto" prima di combattere contro il vampiro evidentemente fighissimo, sai già che col cazzo scapperà e che questo le costerà la vita. La cosa è talmente telefonata che puoi tranquillamente andare in bagno e tornare con calma. C'è di buono che il combattimento è effettivamente bello da vedere (un livello qualitativo che purtroppo cala sensibilmente nel corso della serie) e che il personaggio di Olrox è interessante e ben scritto.

2) Gente che insegna ai francesi come fare le rivoluzioni. Ok, sinceramente, l'intero arco narrativo di Annette ed Edouard è un chiaro caso di appropriazione culturale. Perché siamo tutti d'accordo sul fatto che i francesi siano un popolo di boriosi che si gloria di iniziare grandi imprese che poi terminano con esiti un po' ridicoli. Va tutto bene. Ma per una cosa hanno effettivamente un primato storico indiscutibile: sono quelli che hanno rovesciato più regimi e ammazzato più gente di sangue blu nel mondo. Proprio senza alcun paragone, danno 10 a 1 a tutti gli altri. Quindi ecco, far arrivare due tizi ex schiavi dai Caraibi e farli parlare in piazza per spiegargli che se loro hanno rotto le loro catene allora ce la possono fare anche gli europei, mi sembra leggermente offensivo. Anche perché la rivolta degli schiavi ad Haiti termina vittoriosamente nel 1804 (quando oggettivamente Napoleone aveva altro da fare) e nella serie saremo nel 1790 ca. Quindi non si capisce a. cosa ci faccia lì gente che in realtà dovrebbe iniziare la sua rivolta nell'anno successivo (1791); b. a prescindere cosa ci faccia lì gente che dovrebbe essere impegnata a fare la sua rivoluzione, non certo ad andare a fare in fighi in quelle degli altri; c. comunque in Europa la schiavitù era stata abolita da un pezzo a fine '700: lo ricordo per gli statunitensi che l'avevano ancora nel 1864, si sentono in colpa e per questo devono rompere il cazzo pure a noialtri.
Annette ed Edouard sono chiaramente la quota minoranza della serie. Che andrebbe pure benissimo, se non fosse inserita nella storia in modo talmente pretestuoso e ignorante da massacrare ogni senso di empatia nei loro confronti.

3) Backstory noiose parte 2: il problema vero però è stato l'episodio 3. Perché avevo alzato il sopracciglio sui personaggi di Annette ed Edouard ma la morte di quest'ultimo nell'episodio due me li aveva comunque fatti prendere in simpatia. Poi è arrivato il terzo episodio e mi ha devastato. Perché la backstory di Richter era noiosa ma almeno te la presentavano in 3 minuti e mezzo con un bel combattimento. Per questi due credevo che avessimo già fatto esposizione nei 30 secondi in cui dicono "eravamo schiavi, ci siamo liberati dai nobili, adesso siamo venuti ad aiutarvi". Era una roba talmente lineare che non c'era molto bisogno di altro. Seguono invece 20 minuti in cui sta roba viene reiterata con tutti i particolari che agli americani piacciono tanto: piantagioni, frustate ecc. Tutta roba che allo statunitense medio eccita da morire e quindi ce la dobbiamo mettere. Salvo l'incontro di Annette ed Edouard a teatro come l'unico flashback interessante.
Ma serviva a presentare in modo più accurato l'antagonista di Annette.
Ci speravo, peccato che quell'antagonista venga obliterato in un episodio randomico in modo così ridicolo e privo di pathos che veramente ti chiedi per quale cazzo di motivo ci abbiano mostrato tutta quella storia. Una gestione dei tempi di trama da denuncia.
Ah, sul finale di episodio tre c'è anche il discorso di Annette al popolo francese (esattamente 12 persone in una piazza, hanno problemi di comparse anche nell'animazione?) in cui ci ripete per la terza volta la sua backstory. Perché era una schiava e adesso è venuta a spezzare anche le nostre catene. Non so se vi è chiaro. Magari eravate distratti. Volete che lo ripetiamo un'altra volta? Tranquilli, credo che ve lo ridiremo almeno in altre tre o quattro occasioni prima delle fine della serie.

4) Tutti magici. Uno dei punti di forza della prima serie su Castlevania era il modo in cui ogni personaggio aveva capacità molto distinte e poteri caratteristici. I fight in cui Trevor, Sypha e Alucard combattevano insieme erano una gioia per gli occhi perché tutto quello che facevano era perfettamente identificabile e nella diversità componeva un quadro armonico. In questa serie i poteri dei personaggi sono molto appiattiti in quello che sembra un bisogno spasmodico di far usare la magia a tutti quanti. Ne risulta che sono tutti meno interessanti. Fra l'altro non si è capito bene cosa sia successo alla frusta dei Belmont. Oltre a cambiare skin, in Castlevania faceva semplicemente esplodere i mostri e i vampiri più deboli. Qua è molto meno micidiale e lo stesso vale per tutte le armi usate. Cosa fra l'altro molto strana, visto che nel videogioco Richter era quello dotato di una mossa suprema per ogni arma (la frusta che invece si incendia c'è ma anche qui viene ricollegata al fatto che il personaggio è un mago). Non si capisce perché abbiano voluto annacquare il concept di "guerriero addestrato che fa strage di creature della notte grazie alle sue armi sacre" per aggiungerci "però meno male che la sua ava gli ha lasciato i poteri magici sennò sarebbe una pippa al sugo". Non solo indebolisce la sua caratterizzazione ma indebolisce anche l'unicità degli altri personaggi. Vanno un po' meglio Maria e Annette che almeno hanno dei tratti distintivi (l'evocazione degli animali e il controllo del metallo), ma non si arriva mai a quelle scene stupende di combattimenti corali della prima serie. Semplicemente tutto si mischia un po' in un pastone unico in cui spiccano per contrasto i vampiri, sui cui poteri invece si è lavorato in modo secondo me più efficace.

5) La deriva Rey. Sempre legato al problema della magia, una cosa che NON mi è piaciuta PER NIENTE è l'aver legato l'uso dei poteri alla psicologia del personaggio. Una delle cose più belle della prima serie di Castlevania è che i personaggi sembravano sempre assolutamente competenti in quello che facevano. Sypha era una maga con i controcazzi perché le sue tecniche crescevano di complessità e accuratezza mano a mano che si scontrava con gente sempre più forte. Nelle ultime puntate dell'ultima stagione era sbalorditivo il modo in cui i combattimenti venissero scritti per far vedere quanto porca troia fosse brava nel gestire la magia. Qua siamo in totale controtendenza con roba che personalmente metto nella sezione "cose che avrebbe potuto fare Rey in Star Wars". Ovvero: non ho nessun problema se Richter viene traumatizzato dalla morte della madre e smette di usare la magia per quello. Posso non avere problemi sul fatto che in un momento estremamente drammatico e con le spalle al muro, un'esplosione incontrollata di magia repressa gli procuri una via di fuga. Ho però ENORMI problemi sul fatto che immediatamente dopo inizi a usarla come se non avesse mai fatto altro negli ultimi quindici anni di vita. Nel giro di cinque ore Richter inizia a fare robe estremamente complesse, su cui mai si è addestrato e che mai ha praticato nella vita. Letteralmente Rey nell'ultima trilogia di Star Wars. Non c'è nessun motivo per cui dovrebbe saper fare quelle cose. Le fa perché la trama lo richiede e perché la magia funziona alla cazzo. Il problema di sta roba è che è pigra e favorisce soluzioni di sceneggiatura pigre. Il momento in cui il BBEG sarà troppo forte e Richter risolverà tutto appellandosi al potere dell'amicizia è già da ora prevedibile e noioso.

6) Le creature della notte col cuore. Non ho nessun problema sul fatto che Edouard conservi una coscienza e faccia un po' il cazzo che gli pare in barba agli ordini del suo padrone. Potete però, per favore, darmi una cazzo di giustificazione di trama? Un errore nel procedimento alchemico? Una distrazione del mastro fabbro? Un talismano che gli protegge l'anima? Letteralmente qualunque cosa andava bene. Bastava qualunque cosa. E invece no. Una cosa che è evidentemente un'eccezione nel canon di Castlevania che contraddice tutto quello detto finora, succede perché boh succede. Edouard è bello e canta bene. Quindi succede. Che te frega? E tralasciamo il fatto che una creatura evidentemente difettosa, ribelle e che istiga comportamenti strani in tutti gli altri venga lasciata là in cella a continuare a fare il cazzo che gli pare perché boh, il prete era troppo impegnato a whinare sulla gente che non va più in chiesa immagino.

Cosa salva tutto questo e mi spinge a vedere anche il seguito della storia? I vampiri sono discretamente fighi. Orlax in particolare è interessante e signore iddio per favore fate che non diventi l'amico vampiro di Richter. Infine l'apparizione di Alucard negli ultimi 50 secondi dell'ultimo episodio. Perché Alucard si ama. Sempre.

venerdì 3 novembre 2023

Calvino dopo vent'anni

Questo mese abbiamo avuto una bella idea al club di lettura. Invece di proporre un libro uguale per tutti, abbiamo chiesto a tutti di leggere un testo a scelta di Italo Calvino.
Cosa mi ricordavo di Calvino? In genere che mi era piaciuto. Avevo letto tutto il trittico Barone-Visconte-Cavaliere durante l'adolescenza. Era stato bello e lo avevo lasciato lì. Dopo vent'anni ritorno su questo autore e scelgo un libro a caso.

Le edizioni Einaudi erano belle (ndr.)
Siamo nell'Italia dei primi anni '50. Il paese si sta faticosamente riprendendo dalla guerra e si iniziano a vedere i primi cenni di boom economico che, nel libro, è soprattutto un boom edilizio. In pochi anni il piccolo paese sonnacchioso del protagonista (Quinto) viene stravolto da ondate di cemento e nuove palazzine che sorgono ovunque affollando il litorale marittimo. In questo contesto, Quinto prende la palla al balzo per mettersi in affari con un impresario molto dubbio, per far fruttare l'area fabbricabile contigua alla casa della madre.
Detta così sembra una palla no? Invece no, è un libro stupendo. Mi rendo conto di essere vicino a quella bruttissima fase della vita in cui guardi gli altri e, inclinando lo sguardo con fare condiscedente, ti lasci sfuggire frasi tipo sai, in questo periodo sto riscoprendo i classici. Cosa che ti fa immediatamente meritare il linciaggio. Però in questo caso purtroppo è vero. In questo preciso momento Calvino per me è stato una riscoperta. Davvero, non mi ricordavo che scrivesse così bene. E con uno sguardo così acuto e imparziale sulla società e sulle persone che descrive.
Cerco di farvi capire cosa intendo.
Quando Quinto saliva alla sua villa, un tempo dominante la distesa dei tetti della città nuova e i bassi quartieri della marina e il porto,più in qua il mucchio di case muffite e lichenose della città vecchia, tra il versante della collina a ponente dove sopra gli orti s'infittiva l'oliveto, e, a levante, un reame di ville e alberghi verdi come un bosco, sotto il dosso brullo dei campi di garofani scintillanti di serre fino al Capo: ora più nulla, non vedeva che un sovrapporsi geometrico di parallelepipidi e poliedri, spigoli e lati di case, di qua e di là, tetti, finestre, muri ciechi per servitù contigue con solo i finestrini smerigliati dei gabinetti uno sopra l'altro.

Ok, questo qua sopra è un periodo unico. Ed è fluido. Mentre lo leggi non ti rendi conto neanche che non stai trovando interruzioni. A un certo punto diventa quasi una musica che ti accompagna alla fine del paragrafo. Qui siamo alla seconda pagina del libro. Letto questo mi sono bloccato e mi sono chiesto: "ma cosa cazzo ho letto fino ad ora? Per quale cazzo di motivo non ho letto prima questo libro? Cos'altro avevo di più importante da fare?". Ma questo non è ancora nulla. Leggete questa descrizione del protagonista che deve affrontare i debiti sui terreni posseduti:

A Quinto la preoccupazione di non aver al mondo neanche la decima parte dei quattrini necessari a pagarle e l'avito rancore contro il fisco degli agricoltori liguri parsimoniosi e antistatali, e poi l'ineliminabile rovello degli onesti d'essere loro soli massacrati dalle imposte «mentre i grossi, si sa, riescono sempre a scapolarsela», e ancora il sospetto che vi sia in quel labirinto di cifre un trabocchetto evitabile ma solo a noi sconosciuto, tutte queste turbe di sentimenti che le pallide bollette delle esattorie suscitano nei cuori dei più verginali contribuenti, si mischiavano con la coscienza d'essere un cattivo proprietario, che non sa far fruttare i propri averi e che in un'epoca di continui avventurosi movimenti di capitali, millantati crediti e giri di cambiali se ne sta mani in mano lasciando svalutare i suoi terreni.

 Di nuovo: un unico periodo. Nessuna sbavatura, nessuna flessione di tono, un discorso fluido dalla prima all'ultima parola. Dio Se Sapeva Scrivere.
Fino ad ora ho lodato la penna ma parlando del contenuto, quanto è precisa questa descrizione dell'uomo nel suo tempo? Quinto è l'italiano degli anni '50 (con alcune caratteristiche che arrivano fino ad oggi), perfettamente tagliato e descritto. Ora tenete presente che questa cosa viene fatta sistematicamente anche per la società:

Perché insieme al contratto (tutto con cifre posticce, come s'usa, per via del fisco), bisognava firmare una «scrittura privata» in cui figuravano le cifre vere ed era precisato il carattere della società con Caisotti per la costruzione della casa, che nel contratto appariva tutta in testa a lui. Invece, arrivati alla «scrittura privata» Caisotti si dimostrò pronto a favorire gli Anfossi in tutto e per tutto: propose anzi lui stesso degli accorgimenti perché la finanza non potesse trovarci nulla da ridire. E tutto questo faceva con risatine furbesche e strizzatine d'occhio, sollevando intorno a sé un pantano di complicità, tanto che la madre, che in queste cose non ci si ritrovava, s'azzardò a dire: - Ma non sarebbe meglio dichiarare le cose come stanno senza far tanti pasticci, anche se si paga qualche tassa in più? - Tutti le diedero sulla voce, gentilmente i legali, seccatamente il Caisotti e i figli, ma Quinto già s'era fatto l'idea che a complicare quella storia della «scrittura privata» il Caisotti avesse il suo tornaconto: forse pensava d'averli poi in sua mano, di vincolarli alla sua omertà.

Quanta Italia c'è in questo paragrafo? Quante situazioni, come questa, abbiamo vissuto in vita nostra in qualunque ambito? Si tratta di un intreccio di rapporti, coazioni ad agire, consuetudini secolari che permea le nostre vite dall'acquisto di case alla fattura con l'idraulico.
Ultima citazione che metto qua, perché ancora parla di noi:

Era una folta Italia in tailleur, in doppiopetto, l'Italia ben vestita e ben carrozzata, la meglio vestita popolazione d'Europa, quale contrato per le vie di *** con le comitive goffe e antiestetiche dei tedeschi inglesi svizzeri olandesi o belgi in vacanza collettiva, donne e uomini di variegata bruttezza, con certe brache al ginocchio, coi calzini nei sandali o con le scarpe sui piedi nudi, certe vesti stampate a fiori, certa biancheria che sporge, certa carne bianca e rossa, sorda al buon gusto e all'armonia anche nel cambiar colore. Queste falangi straniere che, avide dei bagni fuori stagione, prenotavano alberghi interi succedendosi in turni serrati da aprile a ottobre (ma meno in luglio e agosto, quando gli albergatori non concedono sconti alle comitive) erano viste dagli indigeni con una sfumatura di compatimento, al contrario di come una volta si guardava il forestiere, messaggero di mondi più ricchi e civilmente provveduti. Eppure, a incrinare la facile alterigia dell'italiano ben messo, disinvolto, lustro, esteriormente aggiornato sull'America, affiorava il senso severo delle democrazie del Nord, il sospetto che in quelle ineleganti vacanze si muovesse qualcosa di più solido, di meno provvisorio, civiltà abituate a concludere di più, il sospetto che ogni nostra ostentazione di prosperità non fosse che una facile vernice sull'Italia dei tuguri montani e suburbani, dei treni d'emigranti, delle pullulanti piazze di paesi nerovestiti: sospetti fugacissimi, che conviene scacciare in meno d'un secondo.

Questo libro è stato pubblicato nel 1963. Quanto siamo cambiati da allora? Quanto di questo complesso di superiorità e inferiorità misto a sindrome dell'impostore abbiamo superato? A me sembra ben poco. Siamo sempre quelli.

Serve rileggere Calvino. 

domenica 6 agosto 2023

Secret Invasion: un brutto cattivo

Sapete cosa c'è di peggio di un cattivo cartonato, senza forti motivazioni che possano impattare empaticamente sullo spettatore? Un cattivo con forti motivazioni prive di senso logico. Ed è di questo di cui parliamo in Secret Invasion.

Fury che va in giro con un cappello in testa (ndr.)
Togliamoci subito il dente: la serie fa abbastanza cagare. Ci aspettavamo un racconto fatto di enigmi, plot twist e doppi e tripli giochi mentre alieni mutaforma ci facevano dubitare di chiunque comparisse a schermo e abbiamo avuto Samuel L. Jackson, con in testa cappelli sempre più brutti, che vagava qua e là parlando e sparando a gente a caso. E nel senso, ci sono serie che, nonostante abbiano una trama ridicola, riescono a reggersi solo sul carisma del protagonista, però ci sono dei limiti a quello di SLJ può fare per rimorchiare la nave in porto. Per quanto mi riguarda, l'unico piacere vero che ho ricavato da questa serie è il vedere che Emilia Clarke sta di nuovo abbastanza bene da poter recitare (o quanto meno da poter esprimere due espressioni facciali diverse) e l'introduzione del personaggio di Olivia Colman. Tutto il resto poteva essere una pagina di wikipedia che mi aggiornava sugli avanzamenti di trama dell'MCU.

Occupiamoci però del tema vero del post: l'antagonista, aka Kingsley Ben-Adir in arte Gravik, leader dei ribelli Skrull.
Non voglio neanche entrare nelle dinamiche di scelta del cast che hanno portato qualcuno a pensare: "ehi, dobbiamo mettere in scena un alieno mutaforma che tenta di uccidere il presidente degli Stati Uniti facendosi passare per russo in modo da scatenare la Terza Guerra Mondiale. Sai chi sarebbe perfetto? Kingsley Ben-Adir: un attore inglese con madre trinidadiana e accento londinese! Indubitabilmente russo!"
E non voglio entrare neanche nella mente degli sceneggiatori che hanno allo stesso tempo pensato: "ehi, dobbiamo mettere in scena un alieno mutaforma che tenta di uccidere il presidente degli Stati Uniti facendosi passare per russo in modo da scatenare la Terza Guerra Mondiale. Sai di chi potrebbe prendere la faccia, senza mai cambiarla per l'intera serie, per essere assolutamente credibile come russo? Kingsley Ben-Adir: sembra fatto apposta".
Però ecco, dire che Kingsley Ben-Adir, bravissimo fra l'altro, non sia esattamente la persona con la faccia più adatta per la parte, è un leggerissimo eufemismo.
Tralasciando questo aspetto, ci troviamo di fronte a questo personaggio la cui caratterizzazione sembra chiarissima. Giovane skrull arrivato sulla Terra dopo la distruzione del suo pianeta con evidenti problemi di sindrome post traumatica e pochissima propensione all'empatia transpecie, dopo aver osservato per anni i suoi simili sfruttati come spie dagli umani decide semplicemente che è il momento di fare pulizia e prendersi la Terra per sé rendendola inabitabile per i terrestri tramite radiazioni. Classico malvagio neutrale. Prendi un qualunque suprematista bianco con cappuccio del KKK nell'armadio e hai esattamente lo stesso profilo. Semplice e credibile.

Poi arriva l'ultima puntata e abbiamo questa scena strappalacrime in cui Gravik rivela di avere questo, come definirlo,  cringissimo rapporto padre/figlio, allievo/maestro, fanrandomico/content creator di youtube che ha fatto un video che lo ha offeso tantissimo e quindi adesso non lo rispetta più e si disiscrive dal canale annunciandolo nei commenti, con Fury. Perché capite, Fury l'ha mandato in missione a uccidere il tizio di cui adesso porta la faccia. Che sarà stato anche cattivo, però aveva moglie e figli. E quindi chi è il vero cattivo eh? Magari è Fury. Magari sono tutti gli umani! Quindi ha totalmente senso decidere di fare un genocidio mondiale perché ti è spiaciuto tantissimo aver ucciso un padre di famiglia. IT'S FUCKING LOGICAL!

Raga, seriamente, non avete bisogno di mettere traumi infantili in chiunque per giustificare il fatto che si comportino da nazisti. Sono esistiti i nazisti, vi ricordate? Mandavano la gente nelle camere e gas. E vi posso assicurare che su qualche milione di nazisti ce ne sono stati tantissimi con infanzie assolutamente normali. Sono esistiti esseri umani capaci di considerare altri esseri umani al pari di insetti e quindi soggetti a disinfestazione. Non occorre inventarsi rapporti sentimentali inesistenti per giustificare la stessa cosa in un alieno.

Disney, pls, stop.

venerdì 14 luglio 2023

Indy e la pensione

E arriviamo buoni ultimi sull'argomento ma tanto facciamo velocissimi. Eccovi il commento su Indiana Jones e il Coso del Destino.

Una locandina orribile btw (ndr.)

Stavolta facciamo al contrario e vi scrivo subito il giudizio finale: 6,5
La cosa migliore che si può dire di questo film è che non rispetta le aspettative. Nel senso che non è brutto. Intendiamoci, non è un bel film. Perché è impossibile dire che lo sia. Però si fa guardare. Insomma, se avete due ore e mezzo da buttare c'è decisamente di peggio. Per il resto andiamo per punti.

Cosa mi è piaciuto:

  • Mads Mikkelsen e i nazisti. Sembra strano a dirlo considerando che il ritorno dei nazisti è una delle cose più criticate da quelli che ne sanno, ma a me sono piaciuti. Al di là del fatto che Mikkelsen è nato con un'estetica che implora una divisa delle SS, è indubitabile che i nazisti siano i migliori cattivi che si siano mai visti nel mondo della narrativa. È un po' come se a un certo punto, nel 1934, Hitler avesse convocato attorno a un tavolo tutti i principali gerarchi mettendo all'ordine del giorno "elenco in 10 punti per essere visti per sempre come i cattivi più cattivi della storia". E dio santo se ha funzionato. Metti un nazista in scena e il film assume subito un tono epico con cui i sovietici de Il teschio di Cristallo non potranno mai rivaleggiare. Spiace per i russi, but nazi wins. Partita, gioco e incontro.
  • Le scene d'azione sono carine. Forse alcune troppo lunghe e troppo frequenti (l'intero film avrebbe molto giovato di 20 minuti di tagli), ma comunque molto ben girate. L'inseguimento fra le vie di Tangeri è probabilmente il migliore fra tutti i film di IJ.
  • Riferimenti alla trilogia classica. Presenti ma non soffocanti. Se c'è una cosa che questo film fra bene è evitare quasi sempre di premere sull'effetto nostalgia. Ci sono delle strizzate d'occhio al pubblico ma sono sempre molto sobrie e non urlate. Ho apprezzato.
Cosa non mi è piaciuto:
  • Il Quadrante di Stocazzo. Io sinceramente non so perché si siano andati a incartare su questa storia del coso di Archimede che nessuno ha mai visto né sentito. La cosa buffa è che il film si apre (bello l'uso del deepfake per Indy giovane btw: c'è dibattito in merito ma io ho apprezzato) con un'ottima scena introduttiva legata alla Lancia di Longino che i nazisti credevano di aver recuperato e invece si scopre che è un falso. E io ho passato la prima mezz'ora sentendomi truffato perché avrei voluto sapere che fine aveva fatto la lancia vera e invece ero costretto a sorbirmi sta storia del cazzo su un oggetto appena inventato attribuito ad Archimede che a me invece dello scienziato siracusano fa venire in mente solo l'amico di Paperino che vive con la lampadina. Una delle cose che ha sempre funzionato nei film di IJ è il sovrannaturale religioso. Da questo punto di vista una storia sulla Lancia di Longino sarebbe stata perfetta e invece no, ci becchiamo il quadrante. Grosso errore secondo me. Probabilmente legato al fatto che volevano in tutti i modi avere i viaggi nel tempo per giustificare i nazisti e soprattuto Mikkelsen in divisa nazista but still. Il film perde di mordente, mi disp.
  • I personaggi secondari. Partiamo da Phoebe Waller-Bridge che io adoro dopo Fleabag, a cui hanno scritto un personaggio ABBASTANZA ODIOSO. Nel senso che è veramente difficile empatizzare con sta tizia che tratta male Indy dal minuto 1. Le hanno dato anche uno straccio di motivazioni per comportarsi così, ma diciamo che non funzionano benissimo. Il resto è un vasto gruppo di cartelli semoventi con scritto "gregario cattivo perché sì" (Boyd Holbrook), "la nera che muore per prima" (Shaunette Renée Wilson), "vi ricordavate di Sallah?" (John Rhys-Davies), "Banderas che fa il pirata" (Renaldo), "quello grosso grosso" (Olivier Richters) e "un ragazzino a caso" (Ethan Isidorre). Tutti quasi sempre inutili e privi di spessore.
  • Harrison Ford non ce la fa più. Spiace dirlo, ma uno dei punti deboli del film è proprio il protagonista. Che intendiamoci, si ama tantissimo ed è dolcissimo e quando vuole si mangia ancora tutti gli altri. Ma i film di IJ vivevano anche e soprattutto della fisicità del protagonista che faceva a botte con la gente. E che Ford non abbia più la fisicità necessaria per fare quella cosa è evidente e il film ne risente. Spiace.
  • La sceneggiatura un po' del cazzo. Gente che si perde e si ritrova per colpi di fortuna randomici. Puzzle del cazzo. Storie di vita con l'unica giustificazione di "volevamo il dramma". Diciamo che non si sono esattamente impegnati nel creare una narrazione convincente. Che andrebbe anche bene se l'unico punto fosse "vogliamo che Indi vada in giro a fare cose fighe" ma poi le cose fighe non può farle benissimo perché giustamente c'ha settant'anni e quindi almeno sulla trama potevate impegnarvi di più.
Nota di merito per la scena in cui scalano una parete rocciosa e Indy si lamenta che gli fanno male le gambe, la schiena e un po' tutto.
Nota di demerito per il finale che, porca puttana, 2 ore e mezzo di film e risolvete tutto in 3 minuti che sembrava vi stesse scuocendo la pasta. Ma state bene?

mercoledì 17 maggio 2023

Un po' troppo: Barbero e la Grecia

E questo è il commento del libro del mese, che domani c'è il gruppo di lettura e stavolta è stata durissima. Parliamo de Le Ateniesi di Alessadro Barbero.

Aristofane diceva le parolacce (ndr.)
Quando ho proposto questo libro mi sembrava perfetto per conciliare le esigenze del gruppo di lettura con le mie. Da una parte c'era la storia tragica delle ragazze maltrattate dal patriarcato, dall'altra c'era la lotta di classe mescolata alla storia antica. Mi sembrava di vincere facile e invece no, mi ha fatto più fatica finirlo di ogni altro. E ci ho messo un po' ma credo di aver capito il perché.

Cose positive:
la struttura di per sé è geniale. Essendo un romanzo ambientato nell'antica Grecia, dopo il prologo iniziale (erano vent'anni che non vedevo scritto "prologo" e solo dopo ho capito il perché), l'intera storia è ambientata nel corso di una giornata, dalla mattina alla notte fonda. Riprende quindi l'unità di tempo e luogo della commedia/tragedia classica. Dall'altra parte, un pezzo di storia è il racconto fedele della messa in scena della commedia "Lisistrata" di Aristofane, che accompagna l'altro pezzo di trama. Quindi c'è una commedia classica all'interno della tragedia/commedia classica che è il libro: un classico al cubo. Bello. Se non basta questo a farvi capire che Barbero è  un nerd, non so cos'altro serva.
le tematiche sono varie e interessanti. In ordine passiamo dalla condizione femminile che però passa in secondo piano rispetto alle differenze sociali e alla lotta di classe (plebei vs nobili). Si parla della democrazia, dei suoi difetti e delle derive autoritarie che ne possono seguire (ed è facile vederci il cringe di alcuni dibattiti sul patentino di voto). C'è un riferimento diretto e ineludibile al contesto italiano degli Anni di Piombo, alla strategia della tensione e al delitto del Circeo. C'è insomma tanta storia italiana in questo romanzo che emerge anche in alcuni termini (zecche per riferirsi alle popolane).
le descrizioni sono accurate ed evocative. E Barbero non risparmia al lettore un certo gusto per il gore, il sangue e l'efferatezza.

Il punto però è: "Barbero riesce a tenere tutto questo in un insieme organico?". E la risposta è: probabilmente no. Sorry.
A parte un paio di plot armor abbastanza azzardate (perdonabile la prima, un po' meno la seconda) che ci regalano comunque un happy ending un tantino tirato per i capelli, sinceramente si ha un po' l'impressione che si sia voluto fare veramente troppo con troppo poco. Un sacco di spunti anche interessanti si affastellano tutti assieme senza che alla fine nessuno risulti davvero approfondito. Tanto che alla fine del libro resta poco.

Voto: 7-
Buonissime le intenzioni, risultati zoppicanti, gli si vuole bene comunque.


domenica 7 maggio 2023

Il saluto di Gunn, Guardiani della Galassia 3

Scrivo questa recensione a caldo tenendo di sottofondo la colonna sonora del film. E qui iniziano i problemi, perché se sono in grado di dissezionare scena per scena i film che non mi sono piaciuti, spiegando i motivi per cui fanno cagare, sono del tutto incapace di farlo con quelli che mi sono piaciuti. E questo mi è piaciuto un botto.
Parliamo di Guardiani della Galassia volume 3.

Scrivere un finale: come farlo bene (ndr)
Ok, andiamo per punti così evitiamo di perderci:
1) James Gunn - diciamo che la fase 4 della Marvel non è andata benissimo. A parte il puro fan service di Spiderman (per carità, anche apprezzabile eh) e Raimi che ci ha quanto meno provato con Strange, non c'è stato grande entusiasmo al cinema. Si era diffuso un generale scoramento. Molti si producevano in dotte analisi sulla chiusura di un ciclo. Il momento in cui, superato il picco di popolarità dei cinecomics, ci si avviava inesorabilmente alla fine di un periodo storico, in cui tutto il meglio era ormai alle nostre spalle. In tutto questo arriva Gunn che al suono di sì, ok, ma adesso spostati un attimo che c'ho da lavorare, tira fuori il miglior film della trilogia A MANI BASSE, il miglior film Marvel post Endgame e quasi sicuramente un film nella top 5 di tutta la storia dell'MCU. E lo fa con tutta la sicumera del eh beh, i film si fanno così, perché? Per voi è difficile? 
C'è una spettacolare sicurezza in questo Guardiani. Un'unitarietà di visione di sceneggiatura, regia e colonna sonora che ti permette di tranquillizzarti, spegnere il cervello, adagiarti sulla poltrona e dimenticarti di essere al cinema e vivere l'esperienza, sicuro che non dovrai mai svegliarti perché il tizio che ha messo su lo spettacolo sa decisamente cosa sta facendo. Seriamente, io non ho visto sbavature e la cosa bella è che non è importante anche se ci fossero state. Il trucco c'è sempre: il punto del bravo prestigiatore è non farvelo vedere. E Gunn è al momento il miglior prestigiatore di cinecomics in circolazione. Bella per la DC.
2) La regia: rimanendo sul tema di quanto è bravo Gunn, questo Guardiani ha alcune delle migliori scene di combattimento che si siano viste in tempi recenti. C'è uno scontro in particolare, in un corridoio, che è probabilmente la migliore coreografia di gruppo dell'MCU. Quando lo vedrete capirete. Nota di merito anche per gli effetti speciali. La CGI è fatta da Dio. Poco altro da dire.
3) L'umorismo: per favore qualcuno prenda appunti. Le battute vanno bene. A tutti piace ridere e Guardiani è il gruppo di outsider perfetto per creare situazioni comiche. Ma devono essere appunto situazioni comiche, non sketch di Zelig. E soprattutto, se fai una battuta che funziona, BASTA FARLA UNA VOLTA. Non c'è bisogno di ripeterla in 14 situazioni diverse fino a che vorresti solo strapparti le orecchie, VERO THOR LOVE AND THUNDER?
Si ride durante sto film e lo si fa in modo sincero e non tirato. Grazie.
4) Il Drama: sono riusciti a farmi piangere per un cazzo di procione spaziale fatto in CGI. Ma che cazzo.
5) I personaggi secondari: so che dovrei criticare il fatto che Gunn infili nei suoi film mezza famiglia. Però io Sean lo adoro dai tempi di Una Mamma per Amica, quindi niente, per me può fare qualunque cosa. E la moglie che fa la centralinista manco si notava dai. Oltre a questo, non ci posso fare niente, Sylvester Stallone che fa il ravager mi uccide ogni volta. È assolutamente fuori posto. Quel fuori posto da "VOGLIO STALLONE NEL FILM", "ma non c'entra un cazzo!", "LO VOGLIO", "ma davvero, anche solo per l'estetica seriamente non..." "HO DETTO CHE LO VOGLIO". E niente. Gunn ce lo vuole. End of story.
6) L'amore: non è un mistero che i Guardiani siano il figlio prediletto di Gunn. Non è un mistero anche che non avesse apprezzato per niente come erano stati trattati nel resto dell'MCU e soprattutto la scrittura di Star-Lord in Infinity War. Questo film è il modo di Gunn per rimettere le cose a posto segnando tutti i puntini sulle i, dal suo punto di vista. Ogni personaggio ha un arco narrativo e un epilogo ottimamente scritto e l'intero film si chiude con un enorme abbraccio che include anche il pubblico in sala. Groot parla... e non parla. Quando lo vedrete capirete. E se non capirete è perché non ve lo meritate.

Potrei aggiungere altro ma lo avevo premesso che non so parlare dei film che mi sono piaciuti. Andate a vedere questo Guardiani. Non c'è altro da dire.

Voto: 42/10 con lode

domenica 30 aprile 2023

La Russia contemporanea di Luk'janenko

Questo è un post un po' particolare perché non è una recensione, non è un trattato di sociologia né ho una particolare tesi da presentare. Diciamo che potrei definirlo come un boh raga, ho letto questa cosa e mi sembrava interessante buttarla giù da qualche parte, quindi beh, probabilmente non arriveremo a niente. Prendetela come una pagina di appunti.
Oggi parliamo di Sergej Luk'janenko, scrittore russo di fantasy e fantascienza.

Foto direttamente dalla pagina di wikipedia (ndr.)
Nato nel 1968, ha iniziato a scrivere negli anni '80. Al di là di tutto quello che andremo a dire fra poco, il mio consiglio è assolutamente quello di leggere i suoi lavori. Sia il Ciclo delle Guardie (tutti e 5 i volumi) sia il romanzo de La Torre del Tempo sono fantasy di altissimo livello e assolutamente una ventata di originalità in un genere che a volte rischia di essere asfittico. C'è però un fattore ulteriore che rende estremamente interessante leggere i suoi libri: l'ambientazione. Il suo è infatti un fantasy che vive nel nostro mondo e nella contemporaneità. Diciamo che è l'equivalente russo di Harry Potter, con un universo fantastico che va a intrecciarsi con quello reale che conosciamo, ma con legami ancora più stretti. I maghi di Luk'janenko si muovono in una Russia e in una Mosca che sono quelle contemporanee e nel contesto sociale russo attuale. Il protagonista del romanzo, anche se l'essere un mago lo rende in qualche modo diverso dagli esseri umani che lo circondano, è fortemente "russo" e partecipe dei sentimenti del suo tempo. Se volete capire la Russia attuale, questi libri sono quindi estremamente interessanti.

martedì 25 aprile 2023

SWJ:FO - a simple Star Wars Story

Non so scrivere recensioni di videogiochi. Soprattutto perché sono vent'anni che gioco solo a roba multiplayer e senza una trama e quindi non ho il background adatto per farlo. Però ho un pc nuovo, sto recuperando cose e su questa devo assolutamente dire due parole. Eccoci quindi alla non recensione di Star Wars Jedi: Fallen Order (2019).

Tutto quello di cui la Disney non ha capito un cazzo (ndr.)
Prendere in mano questo videogioco è un bicchiere di acqua fresca nel deserto. Perché sono anni che questo franchise ci offre solo merda (con qualche limitata eccezione) e finalmente sembra di tornare a casa. Non anticipiamo però gli argomenti importanti e diciamo un paio di cose sul gioco in quanto tale.
Innanzitutto, è perfetto per i nabbi come me. È un soulslike con meccaniche abbastanza semplici, facili da padroneggiare anche se non prendete in mano un controller da anni e con un sistema di gioco che vi prende per mano e vi accompagna passo passo a fare le cose. Ogni livello e ogni passaggio è pensato per ridurre al massimo le perdite di tempo e soprattutto le frustrazioni connesse al genere. Morite saltando in un punto? Vi respawnano direttamente lì di fronte e potete riprovarci istantaneamente. Dovete affrontare un miniboss? Se il punto di salvataggio non è lì di fronte è tre passi più indietro. I puzzle ci sono, sono anche molto carini, ma non sono robe impossibili. Soprattutto: l'open world è quasi inesistente. Sto videogioco è un bellissimo treno su rotaie su cui sali sopra per goderti storia e paesaggio.
E mi rendo conto che sto descrivendo come bellissime una serie di cose che al fan puro e duro dei soulslike potrebbero far cagare alla grande. Se lo giocate e vi fa cagare probabilmente c'avete ragione, semplicemente non siete il target giusto.

La storia è... semplice. Tremendamente semplice. Siete un padawan fuggito dall'Epurazione che viene a sapere di una lista di bambini sensitivi alla Forza da nascondere all'Impero e possibilmente da addestrare per ricostruire l'Ordine. Un percorso messo in piedi in modo assolutamente pretestuoso e all'insegna dello "zero sbatti" più assoluto. Plot twist telefonati da giorni arrivano con puntuale regolarità. E mi rendo conto che vi sto descrivendo tutte cose che potrebbero far pensare ma allora fa schifo? e invece... no. È bello.
È bello perché è, davvero, è quello di cui avevo bisogno da anni senza rendermene conto del tutto. Questo videogioco, nella sua semplicità estrema, va alla radice di Star Wars e ne incarna con forza lo spirito che ormai si pensava perso da anni. Si tratta di un fantasy, puro e semplice, come Star Wars era prima che arrivassero sedute politiche in Senato, midi-chlorians, inutili spiegazioni pseudoscientifiche, armi ad energia che sparano attraverso l'iperspazio e le ripetitive, melense, continue, PERVASIVE E NOIOSE storie di cowboy spaziali che ormai dominano in questo universo.
Rogue One era bello e The Mandalorian è a volte bello ma, davvero, quello non è Star Wars. Quelli sono film di guerra e western portati in una galassia lontana lontana. Giocate SWJ:FO e capirete perché sia diverso e perché sia sulla stessa linea della trilogia originaria. C'è un cavaliere errante che deve compiere una quest. Mostri e avversari da sconfiggere con una spada lucente. Un cammino dell'eroe durante il quale affrontare traumi e dubbi, uscendone come una persona migliore. E nemici terribili, dai devastanti poteri, che solo un eroe può affrontare. Questo gioco è quello che Star Wars è sempre stato: puro fantasy.

Grazie.
Non ci voleva tanto.



sabato 15 aprile 2023

L'appuntamento mensile con la mestizia: L'Evento

Un mese è passato ed è di nuovo il momento del gruppo di lettura. Stavolta abbiamo letto L'Evento di Annie Ernaux.

Splatter senza acrimonia (ndr.)
La trama: siccome questo mese non ci siamo depressi abbastanza, sembrava giusto leggere 180 pagine su una donna che si ritrova a voler abortire negli anni '60 in Francia. Cosa in quel periodo illegale e quindi da attuare in modo clandestino e con modalità che se non ci rimane secca è un miracolo. Ovviamente le tematiche sono crudissime e le descrizioni sono abbastanza efferate.

Commento: non mi è piaciuto. Intanto non mi piace come scrive. L'Ernaux ha uno stile molto scarno, in cui le subordinate sono rare quando non abolite del tutto. La storia viene narrata in un modo che sta a metà strada tra la pagina di diario e il report asettico di un verbale di polizia.
Con questo non dico che scriva male. Le hanno dato un Nobel per la letteratura, sarebbe un tantino presuntuoso da parte mia. Semplicemente a me non piace come scrive. Capita.
La cosa che mi ha sconcertato di più è che l'intera vicenda viene raccontata in un modo che sembra quasi privo di un'intenzione comunicativa. Nemmeno per un attimo ho avuto la percezione che mi si volesse parlare di qualcosa: la sensazione predominante era quella di un flusso di coscienza in cui l'autrice ricordava a se stessa quanto le era successo.

Ma magari era quello il senso no? Offrire al lettore uno sguardo privato sulla propria intimità.
Peccato che l'Ernaux ha detto in lungo e largo che suoi libri non sono autobiografia, benché basati su fatti reali. Quindi non c'è niente di spontaneo nel suo stile di scrittura. È limato alla perfezione per ottenere un effetto che personalmente mi lascia indifferente.
Con questo non voglio dire che sia brutto. Molto probabilmente non ero il target adatto per questo libro.

Ultimo punto e poi la smetto di lamentarmi: la tematica sociale. Nel libro si attacca ovviamente la struttura patriarcale della società francese degli anni '60 (e in modo laterale logicamente quella attuale). Cosa che va benissimo e su cui siamo tutti d'accordo. Quello che mi ha infastidito però, e mi ha infastidito talmente tanto che sono qui a scriverlo, è che la protagonista del racconto esprima la sua rabbia solo e soltanto nei confronti del sistema. Cioè, nei momenti in cui deve criticare la struttura sociale si avverte un astio concreto e reale, quando invece si parla delle persone fisiche ci si passa sopra senza problemi. La rabbia non compare mai, né contro il fidanzato/compagno/amante che la mette incinta e poi la lascia a occuparsi dell'aborto in completa solitudine né contro i dottori che se ne strafregano della sua condizione né contro chi la tratta da troia per poi scusarsi l'attimo dopo perché si è accorto che non è un'operaia di periferia ma una ragazza di famiglia benestante che va all'università.
Mi potrebbe andare bene se fossero riflessioni sul passato, ma l'intera storia è raccontata come un resoconto diretto dei sentimenti dell'epoca. Sembra che all'epoca sta tizia che non è l'autrice (cit.), da una parte avesse già compiuto un'analisi completa dei crimini della società patriarcale e quindi potesse tranquillamente passare sopra alla gente che si comporta da stronza in quanto mera espressione della società stessa.
A me sta roba fa perdere completamente l'immersione e il contatto emotivo con la storia. Non solo non mi sembra verosimile ma non so neanche quanto la condivido. Mi sembra lo stesso tipo di attitudine con cui si possono scagionare i militi fascisti perché eh, ma la società italiana degli anni '30 era così, il vero colpevole è l'humus culturale. Sì, stocazzo, c'era anche chi non andava a manganellare la gente in camicia nera negli anni '30. Non è che la società sia a prescindere l'esco di prigione gratis con cui giustificare l'essere dei pezzi di merda.

Detto questo, la parte descrittiva dell'aborto è molto ben scritta e lascia il segno. Le caratterizzazioni psicologiche dei personaggi (protagonista a parte) sono molto precise.
Non mi spiace averlo letto, non posso dire di esserne felice.
Voto: 6