martedì 12 novembre 2024

Final Destination - La Saga

Due settimane fa ero malato. Quando sono malato mi deprimo, vorrei che tutti nel mondo soffrissero quanto me e soprattutto mi consolo soltanto pensando che magari qualcuno sta peggio. Ottimo momento quindi per riprendere una saga in cui la gente muore malissimo e nei modi più assurdi.

Oggi parliamo di Final Destination, un B movie che per un paio di buone intuizioni ha segnato una generazione, diventando poi una serie di film abbastanza ridicoli e inutili. E lo facciamo andando in ordine.

Quello senza numero perché è il primo

Era l'inizio del nuovo millennio. X-files si stava avvicinando alla conclusione dopo aver dato tutto quello che poteva dare già da un paio d'anni e James Wong cercava un modo di riciclare una trama che Jeffrey Reddick gli aveva proposto. Mette quindi insieme un gruppo di giovani attori promettenti, fra cui ricordiamo Kerr Smith (preso direttamente dai set di Dawnson's Creek), Sean William Scott (reduce dal primo American Pie) e un Devon Sawa ventiduenne che si finge adolescente, e con un budget contenutissimo si porta a casa il film.
Che è sicuramente un trionfo al botteghino (110 mln di guadagno per 23 mln di spesa) e generalmente un discreto successo a livello di pubblico.
Per tutti i genZ capitati qui per caso: cos'era e cosa funzionava in questo film?
Sul cosa è abbastanza semplice: si trattava di un horror molto basic con la classica meccanica del gruppo selezionato di persone predestinate a morire. Alex Browning è un liceale in partenza per la gita scolastica in Francia, quando in un sogno premonitore vede l'aereo esplodere. Preso dal panico si fa buttare fuori dall'aereo insieme ad alcuni compagni di classe. Il volo 180 esplode davvero ma dopo alcuni mesi i superstiti del volo iniziano a morire in base a quello che sarebbe stato il loro posto a sedere. 
Il cosa funzionava può invece essere riassunto in 3 punti:
  • la scelta del villain che, a differenza del classico serial killer o del mostro variamente fantasy, si identificava come la morte stessa. Un cattivo che quindi non appariva mai in scena ma si andava a identificare con l'intero mondo intorno ai protagonisti. Il primo film era oggettivamente inquietante, proprio per il senso di pervasività del pericolo. Ogni più piccolo elemento poteva essere quello determinante nel causare la morte dei personaggi, cosa su cui regia e sceneggiatura giocavano spargendo indizi veri e falsi.
  • un set di regole ben identificabili all'interno delle quali i personaggi potevano giocare. Cose come: (a) la morte da sempre segnali che permettono di capire come tenterà di ucciderti; (b) la morte tenta di ucciderti fin quando un'altra persona non interviene per salvarti; (c) la morte segue una lista temporale di persone da uccidere e si è al sicuro finché non muoiono quelli prima di te; (d) se qualcuno ti salva, "salti" il turno. Tutto questo dava una notevole "leggibilità" alla trama permettendoti di essere sempre partecipe della narrazione.
  • la costruzione del gruppo di personaggi accomunati dal destino intorno a cui far ruotare le diverse relazioni umane. 

Il film funzionava perché andava ad agitare i grandi archetipi dell'umano: la consapevolezza della morte in agguato in ogni angolo, l'incertezza del mondo che ci circonda, la fragilità dell'umano. Il tutto in un contesto in cui l'orribile confinava spesso nel ridicolo di morti sempre più bizzarre. Da questo punto di vista il primo Final Destination si avvicinava a quel confine rimanendo però sempre decisamente sul lato della paura. Anche la morte più bizzarra era vista nella sua luce più sinistra come indizio della malvagità del mondo circostante e dell'inevitabile fine del protagonista.

Visto il successo al botteghino, sono arrivati inevitabilmente i sequel.

Quello decente
Diciamo che allo schema "la morte ha un piano per ucciderci tutti e al massimo potete rimandare la cosa ma non evitarla" non c'era molto da aggiungere fin dall'inizio. Però un franchise che per ogni milione speso te ne produce cinque mica puoi buttarlo via. Jeffrey Reddick torna come co-sceneggiatore supervisionando il lavoro di Glen Morgan, con il preciso incarico di fai esattamente come l'altra volta che è andata benissimo, affiancato a D. R. Ellis alla regia di cui come nota biografica possiamo dire che ha fatto anche Final Destination 4 ed è morto in un albergo mentre stava adattando un hentai giapponese. C'entra qualcosa? No. Ma era per fare del pettegolezzo gratuito.
Dal film precedente si è tecnicamente salvato il protagonista ma Devon Sowa augura tante buone cose a tutti e si chiama fuori. Si riparte quindi con un nuovo gruppo. Kimberly Corman (A. J. Cook che internet mi descrive come impegnata, dal 2005 al 2020, in Criminal Minds... più un sequestro di persona che una serie) sta partendo per le vacanze di primavera con tre amici quando ha la visione di un terribile incidente autostradale. Terrorizzata scende dalla macchina bloccando anche parte della strada e assiste impotente alla morte dei ragazzi partiti con lei quando l'incidente accade davvero. I superstiti iniziano a morire ecc. ecc. A un certo punto compare anche Clear Rivers (Ali Larter di Heroes) che era l'altra protagonista sopravvissuta al film precedente, per spiegare due cose alla nuova generazione e poi morire malissimo. Altro tratto ricorrente è la presenza di un becchino (di cui nessuno sa il nome ma che è interpretato da Tony Todd) che torna nel ruolo di fai quello che forse sa le cose ma non le dice in modo molto inquietante.
Tutto va all'incirca come nel film precedente solo che il tutto inizia a scricchiolare un po', anche se in modo impercettibile. Intanto quel confine fra horror e ridicolo inizia a tendere un bel po' verso il ridicolo. Che nel senso, era parte dello spirito del film prendere in giro le morti assurde del genere, però il primo rimaneva un horror. Questo molto meno e in parte è anche dovuto al fatto che il lavoro sulla caratterizzazione dei singoli personaggi praticamente scompare. Al di là del fatto che sono dei perfetti sconosciuti che non si conoscono perché è gente che si è salvata a caso in autostrada, il film non da mai il tempo né lo spazio necessario a sviluppare dei legami. Cosa che rende il pubblico meno predisposto a empatizzare e quindi meno interessato al loro destino.
La cosa che poteva essere buona del film era lo sviluppo del worldbuilding. In questo film infatti la morte uccide le persone in ordine inverso a quello rispetto a cui dovevano morire nell'incidente. Il tutto viene spiegato facendo scoprire che ognuno dei personaggi del film si è già salvato da morte certa in passato grazie all'intervento di uno dei personaggi del primo Final Destination. Questo aprirebbe in teoria notevoli prospettive, nel senso che permette di legare tutti i sequel in un complicato domino in cui ogni pezzo determina la caduta di altri e così via. Ovviamente era una prospettiva troppo interessante e non verrà MAI più ripresa. Altra cosa interessante era l'accenno del becchino al fatto che "una nuova vita" interromperebbe il piano della morte e la costringerebbe a ripartire da capo. Cosa che viene interpretata in modo estremamente stupido dai personaggi e, come sopra, MAI più ripresa.

Quello in cui si vedono le tette
James Wong torna alla regia per il terzo film in cui alla sceneggiatura è rimasto solo Glen Morgan che qui ha chiaramente preso la tangente e se ne sbatte allegramente dell'intera questione. Mary Elizabeth Winstead, che di lì a pochi anni ritroveremo come Ramona in quel piccolo capolavoro di Scott Pilgrim vs the World, interpreta Wendy Christensen che essendo andata con degli amici a un Luna Park ha questa visione delle montagne russe che implodono ammazzando un sacco di gente. Scappa seguita da alcune persone ecc. ecc. Si torna nell'ambiente liceale in cui i personaggi non hanno però neanche lontanamente la caratterizzazione del primo film. Sono, protagonisti compresi, dei cartonati il cui unico scopo è farsi uccidere nel mondo più assurdo possibile nel corso del film. E il problema è che i modi sono talmente assurdi che perfino i personaggi del film sono costretti a farsi due domande in merito.
Uno dei tratti inquietanti del primo film era che le morti, per quanto strane, erano comunque "spiegabili". Nel senso che i protagonisti si muovevano sempre in questo ambiente ostile in cui solo loro capivano che qualcosa di sovrannaturale stava avvenendo mentre il mondo esterno continuava a procedere come se niente fosse. Il terzo film ha come problema ulteriore il fatto che perfino il mondo esterno inizia a reagire ad una morte che sembra ormai sbattersene (almeno quanto lo sceneggiatore) di rendere "credibili" le uccisioni. La cosa in realtà avrebbe potuto essere interessante se fosse stata affrontata dal punto di vista della lore. Si sarebbe potuto creare un divertente gioco di specchi e una semirottura della quarta parete facendo reagire coerentemente il mondo a questi cambiamenti. Ma no, purtroppo ci si legge soltanto disinteresse per il franchise trattato come prodotto dark-comedy su cui lucrare con lo splatter gratuito. Momento più apprezzato dal pubblico: le due liceali (ovviamente interpretate da attrici maggiorenni) a seno nudo nei lettini abbronzanti.
Ultimo punto: il passaggio dalle visioni alle fotografie che, va detto, è stata un'idea abbastanza del cazzo. Al di là della visione iniziale iperdettagliata che da origine alla storia, i protagonisti del franchise hanno sempre delle premonizioni sulle morti successive. Nel primo film questo elemento è importantissimo perché i personaggi riescono effettivamente a sfruttarle per influenzare il corso degli eventi. Già nel secondo questa cosa scompare. Nel terzo le premonizioni vengono passate attraverso fotografie scattate da Wendy al Luna Park che sono talmente vaghe che semplicemente la tensione non esiste. Di fatto sono un altro strumento al servizio del "fan service" splatter. Anticipano al pubblico qualche elemento della morte assurda che sta per avvenire a completo detrimento della storia.
 
Quello in 3D
Il quarto film della serie è la chiara dimostrazione di cosa succede quando un soggetto che originalmente aveva un senso, viene messo in mano a gente che se ne sbatte ampiamente la minchia ed Eric Bress (che aveva partecipato alla scrittura del 2) ci regala un plot che va a scardinare completamente la struttura narrativa del mondo. Nick O'Bannon è un tizio che va con amici a vedere una gara automobilistica. Ha la visione di un incidente che fa crollare l'intera arena e scappa con i 3 compagni di sventura e altri stronzi capitati lì per caso. Seguono morti randomiche e molto molto stupide, le più stupide del franchise, compreso un tizio a cui viene aspirato il culo da una piscina (sic.).
Le premonizioni delle morti tornano ma la cosa più stupida avviene nel finale. Per la prima volta nel franchise Nick ha una nuova visione completa, come quella di inizio film, di un altro incidente catastrofico, l'incendio in un centro commerciale, in cui dovrebbero morire le due amiche rimaste in vita. Con notevole impegno personale riesce a impedire il disastro.
Questa roba è assolutamente distruttiva non per la trama del film ma per l'intero worldbuilding. In tutti i film della serie la morte funzionava come antagonista perché si comportava come il classico serial killer intelligente. Agiva quando la vittima era isolata, teneva un basso profilo e minimizzava i rischi. Nel terzo film questa identità iniziava a vacillare ma nel quarto la questione dell'incendio fa esplodere il problema. Il punto della storia è sempre stato che la sopravvivenza dei protagonisti era un "errore" nel piano della morte a cui questa metteva una pezza procedendo con eliminazioni singole. Il fatto che la morte delle due ragazze venga infilata in un secondo evento catastrofico ci descrive una morte stupida che, avendo già a che fare con un tizio in grado di avere premonizioni, non si preoccupa di quello che potrebbe succedere nel caso intervenisse nuovamente. Cosa che effettivamente avviene. Di fatto la mancata distruzione del centro commerciale lascia un gigantesco plot hole con la morte che si deve adesso occupare di riscrivere i destini individuali di centinaia di persone sfuggite alla tragedia.
Un disastro talmente enorme che il seguente film del franchise sarà un prequel per non dover avere a che fare con sto casino.
A livello di botteghino il film fu comunque un successo, nonostante sia quello con le votazioni più basse mai registrate.

Il prequel dei serial killer
Siamo infine arrivati al 2011 ed è il momento di far deporre un altro uovo a questa gallina. Per la bisogna vengono chiamati Steven Quale alla regia e Eric Heisserer (Shadow and Bone 2021-2023... strano che mi abbia fatto cagare^^) alla scrittura. Sam Lawton (Nicholas D'Agosto) sta partendo in viaggio di lavoro con l'azienda. Mentre passano su un ponte in manutenzione, questo implode uccidendo centinaia di persone. Sam però vede tutto con una premonizione e riesce a salvare la fidanzata e alcuni colleghi. Tutto procede come al solito con una modifica: se ammazzi qualcuno che non doveva morire la morte ti scambia la durata della vita con quella del tizio che hai ucciso, permettendoti di vivere.
Sta roba ovviamente è di una stupidità assoluta. Intanto è notevole che un'entità descritta come malevola e desiderosa solo di punirti perché sei riuscito a sottrarti al suo primo tentativo di ammazzarti, ti permetta però di mercanteggiare interferendo ulteriormente nei suoi piani per i destini altrui. In secondo luogo infrange il canon dei film precedenti, perché nel 4 uno dei personaggi tentava ripetutamente di suicidarsi senza riuscirsi, visto che non era ancora il suo momento. E di fatto se è la morte a decidere quando e perché qualcuno debba morire, il fatto che si uccida una persona a caso come esclude il fatto che sia proprio quello il piano della morte? Infine, vi rendete conto che questa roba apre la porta a un mondo in cui esistono esseri immortali solo per il fatto di continuare a uccidere gente giovanissima per acquisire i loro anni di vita all'infinito.
La scena del ponte che crolla era bella. Il resto faceva cagare.

E questo era l'ultimo film. Per ora. Perché Final Destination VI - Bloodlines è effettivamente in produzione e dovrebbe uscire nel 2025. Le interviste rilasciate dicono che si tratterà di un soft reboot della serie. La speranza è che si tratti di un nuovo avvio nella linea di facciamo finta che 4-5 non siano mai esistiti, la relativa sicurezza è che sia un'operazione commerciale a bassissimo cabotaggio tesa a mungere quel che resta di questa mucca e della nostalgia dei primi anni '2000. Vedremo.

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